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Blue Stuff al Lepini Blues festival  (Carpineto, 21/8/2009)  a cura di Gianni Franchi
 
Tante volte noi appassionati di blues e musicisti siamo presi dallo sconforto per le difficoltà che si incontrano nel promuovere questa musica, per noi così piena di fascino, ma che sembra trovare poche opportunità nel nostro paese. Altre volte si vedono dei piccoli germogli che crescono e diventano realtà e finalmente proviamo un po' di soddisfazione.
Spesso, nella provincia, il Blues sembra trovare un terreno più fertile tanto che nel Lazio (la regione in cui risiedo) sono nati diversi piccoli e grandi Blues Festival.
Partendo dall'ormai famoso Liri Blues, dell'omonima Isola del Liri, sono numerose le manifestazioni che propongono buon Blues e voglio citare, scusandomi con quelle che dimenticherò: il Pontinia Rock blues festival che quest'anno ha proposto un cartellone di tutto rilievo con tra gli altri Watermelon Slim e gli Hot Tuna; il Festival Sezze Blues curato da Herbie Goins; il Velletri Blues; il Lepini Blues Festival.
Ed è proprio di quest'ultimo che vi voglio parlare.
Il Lepini Blues Festival è nato grazie all'impegno di un piccolo gruppo di appassionati e musicisti di Carpineto Romano i ragazzi della AVB ovvero: Angelo Reggio - voce e armonica; Tonino Marozza - piano e organo; Massimiliano Fiocco – batteria; Cesare Gonnella – chitarra; Paolo Savaresi – basso; Andrea D'Arcangelis - chitarra.
Alcuni di loro, come nelle più classiche storie di blues, incontrano in treno colui che è l'attuale sindaco della città, Quirino Briganti, ed è proprio con lui che rinasce l'idea del festival blues.
Carpineto Romano è una graziosa cittadina arroccata proprio sui monti Lepini in provincia di Roma; essendo una cittadina antica, come molti borghi del Lazio, ha tutto un suo fascino, una “magia”, soprattutto nella zona del borgo storico. E' famosa inoltre per aver dato i natali, nel 1810, a Gioacchino Vincenzo Pecci, il futuro Papa Leone XIII della “Rerum Novarum”.

Il programma della XVII edizione è il seguente:
20 agosto - DELTA RIVER blues duo, special guest SIMON SLIM in "One Man Band"
21 agosto - BLUE STUFF
22 agosto - HAROLD BRADLEY

Il Festival è aperto da una giovane e promettente formazione laziale composta da Alex Cipolllari (chitarra e voce) Costantino Raponi (armonica) ed il pianista Simon Slim come special guest.
Seguono, nelle giornate successive, dei “veterani” del blues come i napoletani Blue Stuff e Harold Bradley noto cantante afroamericano, ormai romano di adozione (anzi trasteverino come lui spesso scherzando dice).
Il 21 agosto, da buon inviato di Spaghetti Blues, mi reco a Carpineto per raccontarvi della serata dei Blue Stuff.
La band non ha bisogno di presentazioni per gli appassionati di Blues, dal 1982 propone infatti la propria versione del Blues sempre guidata da Mario Insenga.
La formazione con cui si presentano a Carpineto è molto particolare, oltre l'immancabile Mario Insenga alla voce e batteria, ne fanno parte anche Lino "Cient'anne 'e salute" Muoio (chitarra, mandolino, voce), Francesco Citera (fisarmonica) e Fulvio Sorrentino (dobro, voce). Già dalla strumentazione si comprende l'originalità della band: senza basso, con fisarmonica e con un cantante batterista... non sono molte le band blues così.
Anche il loro sound è molto originale ed avvincente così come la scelta del repertorio. Si alternano brani originali cantati in napoletano e classici del Blues, il tutto guidato dal “drive” ritmico di Mario Insenga che, oltre a suonare, canta, intrattiene e cerca di trasmettere un po' del significato dei blues eseguiti al pubblico. Quest'ultimo è costituito da una piccola cerchia di appassionati che seguono e partecipano e da una buona parte di persone del posto venute forse più per curiosità che per vero interesse. Ma alcuni di loro vengono catturati un po' dalla simpatia e dalla comunicativa della band, un po' dal napoletano che stranamente si coniuga benissimo con il Blues e dal sound della fisarmonica che in questi posti è amata soprattutto dalla popolazione più avanti con l'età.
Anche nella scelta dei brani di autori classici del Blues la band mostra la sua originalità eseguendo covers di Leroy Carr, Tommy Johnson (Cool drink of water), Robert Johnson (una bellissima From four till late), Lonnie Johnson.
A richiesta, anche un brano leggermente più rock come Let's work together dei grandi Canned Heat al culmine di uno spettacolo che, nel suo insieme, coinvolge ed appassiona tutti.

 

 

 

Tributo a Cooper Terry  (Trezzo sull'Adda, Milano - 29 gennaio 2009) a cura di Lillo Rogati e Massimo Airoldi

Venerdì 17 dicembre 1993, a 44 anni, moriva a San Farcisco, tra le braccia di sua madre, Cooper Terry, l’unico Bluesman afro-americano vissuto per 20 anni in Italia che portò ed insegnò il vero blues nel nostro paese.
Per me fu uno dei più grandi dolori della mia vita, in un solo momento persi il fratello, l’amico e il maestro con cui condivisi gran parte della mia esistenza, umana e musicale.
In molte occasioni si era pensato di commemorare il suo ricordo, ma con pochi risultati. Solo Ermanno Costa organizzò tre anni fa una rassegna ad Imola in suo onore, invitando molti artisti che l’avevano conosciuto e tra gli altri anche noi con Aida e la Band.
Poi qualche mese fa parlando con i fratelli Limido ci è venuta l’idea di formare un gruppo con Marco Limido alla chitarra ed io al basso, fondatori della “Nite Life”; con Pablo Leoni, alla batteria, che da dieci anni collabora con me e la nuova “Nite Life” dimostrando di avere tutti i numeri per sostituire Davide Ravioli e Stefano Re. Senza dubbio il compito più difficile è stato quello di Franco Limido, nella parte di Cooper, cantante ed armonicista. Non è stato un caso questa scelta, ma una ponderata decisione, non solo perché Franco oggi è uno dei migliori cantanti bluesmen ed armonicisti di Blues che ci sono in Europa, visti i risultati raggiunti con Marco e la loro Band “Family Style” a livello europeo, ma anche perché, essendo cresciuto con noi e vedendoci spesso suonare in uno dei migliori periodi della Nite Life con Cooper, ha imparato tantissimo, ma soprattutto perché Cooper fu il suo mentore e primo maestro nello studio dell’armonica.
Quindi, d’accordo con Pablo, abbiamo deciso di fare il concerto il 29 gennaio 2009 nel suo locale, “Amigdala Theatre” in Via Lombardia, 3 a Trezzo sull’Adda (Mi); un bellissimo posto e uno dei pochi in Italia costruito ed attrezzato proprio per la musica dal vivo, con un grande palco ed un ottimo impianto e, per ora unico, con una nuovissima e sofisticata tecnologia informatica per la visione multimediale delle immagini e dei filmati sulle pareti del locale, che conferisce allo spettacolo un aspetto particolare e coinvolgente anche visivamente. Si è quindi deciso di creare un progetto chiamato appunto “Tributo a Cooper Terry” nel quale si sarebbero suonati i brani degli ultimi due Cd “ Stormy Desert” e “Tribute to the Blues” prodotti da Lillo Rogati per la “S.A.A.R. Records” nei primi anni novanta e non più eseguiti dalla morte di Cooper, quindici anni fa.
La sera del concerto l’emozione era tanta, anche per me nonostante gli anni di esperienza; non sapevamo quanta gente sarebbe venuta, e soprattutto chi ancora ricordava Cooper e sarebbe intervenuto a rendergli omaggio.
Con nostra grande gioia, verso le dieci il locale era strapieno, non c’erano solo gli amici di sempre, molti dei quali non vedevamo da tanti anni, ma c’era anche tutta la “Blue Phantom Band” il primo gruppo di Cooper con: Graziano Tedeschi alla batteria, Sergio Fabretto al piano, Marco Fantoni alla chitarra e il mitico Maurizio “Best” Bestetti sempre alla chitarra, l’unico che ancora oggi è un musicista professionista.
Non so chi ricorda ancora oggi questi nomi, ma posso garantire che negli anni settanta e primi anni ottanta erano all’avanguardia in questo genere musicale, e nessuno suonava come loro. Infatti, molti musicisti di oggi devono in qualche modo ringraziarli, perché grazie ad essi hanno deciso di suonare e avvicinarsi al Blues.
Inoltre erano presenti un gran numero di musicisti che in un modo o nell’altro avevano avuto a che fare con Cooper; impossibile citarli tutti: Roby Zonca, Tiziano Galli, Roby Perego, Laura Fedele, Paolo Legramandi, Saro Rogati, Carlone Fassini e tantissimi altri, con i quali dopo avremmo fatto, come previsto, una Jam Session.
Alle 10.30 si sale sul palco e dopo aver spiegato i motivi di questo concerto, cominciamo a suonare. Avevamo deciso di iniziare con tre brani semiacustici con il contrabbasso, presenti nell’ultimo CD “Tribute to the blues” è cioè: “Tribute to Willie Dixon”, “Kinda Like a Wolf” e “Raggety and Dirty”, brani più tradizionali, ma con un grande impatto ritmico e con un Groove particolarmente accattivante.
Passata l’emozione, ci siamo subito accorti che non solo la cosa funzionava per noi, ma anche per il pubblico, che rispondeva con grande entusiasmo e partecipazione; infatti, come dico sempre, i concerti non sono monologhi dei musicisti, ma dialoghi tra chi suona e chi ascolta e quindi maggiore è la partecipazione del pubblico, migliore è la resa degli stessi e viceversa.
C’erano anche moltissimi giovani, che oltre a non averci mai sentiti, non conoscevano né Cooper né il genere, e che quindi non avevano mai partecipato ad un concerto di Blues. Tra questi Massimo Airoldi, musicista di Rock italiano e futuro giornalista, che ha scritto un articolo molto valido e toccante sulla serata che aggiungerò alla fine del mio, perché penso ne valga veramente la pena, visto che non solo ha centrato perfettamente lo spirito della serata, ma ha dato un opinione vera di un giovane assolutamente al di fuori da qualsiasi tipo di influenza e condizionamento.
Il bello è stato che tutti si stavano divertendo moltissimo ballando e battendo le mani, ed ancora di più quando abbiamo preso a suonare i brani del CD “Stormy Desert”.
Pezzi come “Stormy Desert” appunto, poi: Down Home country Girl” dove Franco Limido ha raccontato la storia di questa ragazza di campagna che viene in città, “Country Girl” come faceva Cooper, catturando l’attenzione della gente in un modo che io pensavo impossibile, proprio alla Cooper, con la stessa ironia e affabulazione. Dopo “Take a ride with me” dove io e Pablo abbiamo fatto i nostri assoli di notevole qualità e gusto, di seguito “And I Cry” un lento in minore, dove Marco Limido raggiunge un livello di espressività raro per un chitarrista italiano. Ed infine “California Shuffle”, un pezzo strumentale che scrissi nei primi anni settanta dedicato a Charlie Parker, che Cooper aveva rivisto aggiungendo il testo e adattandolo alle esigenze del gruppo, e che ancora oggi è la presentazione dell’ultima “Nite Life”.
A questo punto con il pubblico caldo riprendiamo i pezzi semiacustici di “Tribute to the Blues”, con “32 20” e “Crossroads” gli unici due brani non originali, ma riarrangiati da noi, del più grande di tutti, “Robert Johnson, e per finire il set “Is L.A. Burnin’”.
Con grande nostro piacere vediamo che anche in questo caso c’è un grande riscontro del pubblico, che si fa coinvolgere dallo spirito forse più vero del blues di Cooper.
Infatti, con questo ultimo CD Cooper intendeva aprire una nuova via musicale per lui e la band, anche se purtroppo non ne abbiamo avuto il tempo causa la sua morte prematura.
Si riprendono gli strumenti elettrici con “Shockin’ and Jivin’” con andamento prettamente Jazz, di seguito “Snatch it Back”, pezzo composto già ai tempi della “Blue Phantom Band” inserito nel disco dei primi anni ottanta “Aida & Cooper Terry Revue”.
Infine l’ultimo brano è un “Boogie” cavallo di battaglia di Cooper, dove lui prendeva a piene mani lo spirito del blues e lo donava alla gente; in pratica, raccontando una storia di amicizia e tradimento, dove ci chiedeva come punire un finto amico che aveva approfittato della sua amicizia e ospitalità, cercando di portargli via la sua donna. Insomma una vera e propria storia blues che si sviluppa in una sola tonalità, alla John Lee Hooker”, dove fondamentali sono il groove, il walking, i colori e il ritmo in cui si sviluppa il pezzo, è forse la forma musicale di blues più difficile, praticamente impossibile da suonare se non è presente un vero bluesmen afro-americano, e in questo penso che Cooper in Italia fosse unico ed inimitabile.
Nonostante ciò il brano è riuscito benissimo forse perché la magia che avevamo con Cooper in questa magnifica serata è stata ritrovata o forse, perché no, probabilmente sul palco insieme a suonare c’era anche lui. Ad ogni modo per noi è stato veramente così: il suo spirito è sempre stato presente in tutto il concerto, e credo che anche il pubblico abbia percepito questa presenza e l’abbia condivisa, portando i limiti musicali della serata a dei livelli che personalmente non sentivo più da moltissimi anni. Non so spiegare la felicità e la soddisfazione provata da ognuno di noi sul palco quella sera, erano, come dicevo, anni che non provavo sensazioni del genere, e non parlo solo dell’aspetto musicale. Penso che tutto ciò sia stato recepito dalla gente presente alla serata perché alla fine ha tributato a noi e quindi anche a Cooper Terry una vera e propria ovazione.
Penso che per me, Marco, Pablo e Franco, sia stata una delle soddisfazioni più grandi della nostra vita, al punto di pensare di ripetere questa esperienza anche negli anni a venire.
Purtroppo due persone molto care a Cooper, cioè Aida Cooper, la moglie, e Fabio Treves, ognuno con motivazioni proprie, non hanno partecipato a questo mitico evento, non potendo così condividere lo spirito di amicizia e la magia della serata, penso però che alla prossima, se ci sarà, non mancheranno sicuramente.
Ad ogni modo finito il concerto sono cominciate le Jam, e partendo con la vecchia “Blue Phantom Band” che ha appunto aperto la Jam session, un po’ alla volta tutti i musicisti presenti sono saliti sul palco, dando ognuno non solo un contributo alla serata, ma soprattutto un omaggio a Cooper per tutto quello ha donato al Blues e ai bluesmen in Italia.
La Jam è durata circa due ore, e buona parte del pubblico è rimasta fino alla fine regalando a tutti applausi e riconoscimenti di approvazione.
Alla fine, verso le due del mattino, finalmente stanchi ed appagati, tutti hanno cominciato a lasciare il locale, con grandi ringraziamenti per la magnifica serata passata e con la richiesta di ripeterla presto.
Quando finalmente siamo rimasti soli nel locale spossati, ma felici abbiamo cominciato, come spesso accade, a parlare del concerto, e devo ammettere che eravamo tutte e quattro molto soddisfatti di come si era svolta la serata; io ho dato il meglio, Marco è stato magnifico, Pablo un grande, ma Franco ha veramente superato se stesso, una performance di altissimo livello, che ha ormai decretato la sua raggiunta maturità artistica.
Ad un certo punto Franco ed io, con un bicchiere di Whisky in mano, ci siamo ritrovati soli, davanti al palco ormai vuoto, a guardare le foto di Cooper che ancora scorrevano sulle pareti dell’Amigdala, con un po’ di commozione, quasi senza parlare, pensando a quando Lui era ancora con noi, di quanto ci manchi e a tutto quello che ci ha insegnato e dato, lasciandoci orfani della sua presenza, ma con un bagaglio umano e musicale che poche persone in Italia hanno avuto la fortuna di vivere.
Ed è per questi motivi che vorremmo che questo progetto, per ora denominato “Tributo a Cooper Terry” non finisca qui, e che nonostante gli impegni di ognuno di noi, possa continuare portando in Europa e in Italia questa idea di una nuova strada musicale che Cooper aveva incominciato, nata con “Tribute to the Blues”, e che porti la Band a quelle nuove sonorità e a quel nuovo e personale stile di Blues che Lui aveva sognato per noi.
Solo il tempo potrà dare una risposta a questa bellissima e misteriosa domanda.  L.R.

 

Quella sera, mentre raggiungevo l’Amigdala Theatre per il concerto, provai la necessità, il bisogno di zittire l’autoradio. Fino a quel momento un ronzio di accordi prevedibili aveva accompagnato con discrezione la mia marcia; ma un impulso quasi istintuale mi impose un perentorio “basta!”.
Il silenzio può assumere diversi significati, e in quell’istante indossava la sua veste più “sacra”, nel vero senso del termine. Vuoi perché mi accingevo a prendere parte alla commemorazione e al ricordo collettivo di un uomo che è stato, e rimane ancora, icona di una musica intera. Vuoi perché quella litania di suoni campionati era assolutamente inconciliabile con ciò che mi attendeva, quasi irrispettosa verso la “musica” intesa come vita, come nascita, gioia, dolore e morte. Anche se la morte nella musica è un concetto fluido, mutevole. E a dimostrarlo è Cooper Terry: morto una sera d’inverno, tornato il tempo di una sera d’inverno.
L’Amigdala era pieno, e non solo di volti scavati dal Blues, quello con la maiuscola. C’erano altri che, come me, si stupiscono di fronte all’incedere dei polpastrelli di Lillo Rogati. O che si chiedono come fa Marco Limido ad accarezzare le corde in quel modo. Chi solo in quel concerto ha iniziato a capire, a percepire l’aura “spirituale” che avvolge e al contempo permea questo genere musicale. Un anima che il 29 gennaio ha la pelle nera e l‘armonica in bocca.
Lui è ovunque quella sera. Proiettato sulle pareti, con un abito bianco e Aida tra le braccia, o con la chitarra e un cappello colorato di fianco a Lillo Rogati, mentre galleggiano insieme nell’incedere delle note, una dopo l’altra. Ma non bastano le immagini in bianco e nero per riportare in vita un musicista. Così come le tracce di un cd non bastano a riportare in vita un uomo.
Eppure quella sera io ho conosciuto il Cooper musicista e il Cooper uomo. Li ho visti nei cuori di chi tra il pubblico ha chiuso per qualche secondo gli occhi, sentendolo fisicamente lì, su quel palco.
Poi l’ho sentito, dagli unici in grado di farlo “sentire” per davvero. Da chi suonava su quel palco, e immerso nel ritmo, per un istante si è voltato, stupendosi di non trovarselo lì davanti.
Lillo Rogati, il “fratello“, con il contrabbasso tra le mani. Marco Limido, seduto su di uno sgabello, le mani più veloci dei pensieri. Poi Pablo Leoni e Franco Limido, che gli anni degli storici Nite Life li hanno vissuti da spettatori, e ora possono restituire quelle medesime emozioni.
Parte Stormy Desert: l’armonica incalzante, le corde del contrabbasso e il charleston a dettare il tempo, il suono pulito e inaspettato della chitarra. Il ruolo di Franco non era dei più facili, ma la voce è blues, anche se non nera come l’originale. Lillo sembra tornato quello delle foto che aleggiano sul muro, con la sigaretta in bocca e le scale nelle mani. Ci ipnotizza col giro di Take A Ride With Me, inconcepibile per la mia generazione di note ribattute, irresistibile alle mie orecchie vergini. Sono già trascorse molte canzoni e qualche birra, ed ecco California Shuffle: nessuno, e dico nessuno, è riuscito a stare fermo; nemmeno il mio amico vissuto a pane e Backstreet Boys, ”l’antimusica” per antonomasia.
Una ragazza seguiva il tempo ondeggiando sulla sedia in maniera spasmodica, inconscia. E quando il concerto è finito ho avuto la sensazione sarebbe andata avanti a oltranza.
Prima di uscire mi sono soffermato per qualche secondo di fronte al gigantesco Cooper Terry che mi osservava dalla parete dell’Amigdala, divenuto quella sera un grande caleidoscopio di ricordi, a misura di un grande uomo. Anche una volta salito in macchina, le canzoni di Stormy Desert hanno continuato a cullarmi in silenzio, fino a casa. Le note calde della voce di Cooper sanno di bicchieri vuoti, corde di metallo, pelle nera e suole di scarpe battute sul legno del pavimento. A questo mi fa pensare il blues: alla nostalgia per qualcosa che non si è vissuto.
Lasciatemi ringraziare chi per una sera mi ha fatto sognare. Può sembrare banale, ma non in un mondo che ormai ci ha rinunciato.  M.A.

 
 

 

Cronaca di 3 giorni con la RAI  15,17 e 18 ottobre 2008  

Tutto è cominciato mercoledì 15 ottobre con i sopralluoghi della regista RAI Valeria Panfili (“Quelli del calcio...”, “Scalo 76”) che, accompagnata dal sottoscritto, ha visitato e filmato alcuni dei luoghi più importanti della musica in provincia di Reggio Emilia come gli studi di K-Rock Radio Station a Scandiano, il live club Teatro dei Tamburi a Novellara, il Lido Po di Boretto sede del Kayman Blues Festival e di Mundus. Si prosegue venerdì 17 quando la stessa Panfili gira, insieme al documentarista Giacomo De Stefano, un video che riprende la jam session, svoltasi addirittura in sala da pranzo a casa di Oracle King con me, Max Lugli e Paul Boss alle prese tra tortelli, vino e blues. Ma è sabato 18 che arriva sul set il regista Giuseppe Bertolucci il quale si presenta all'improvviso e riprende Oracle King e Paul Boss alle prese con un cavallo nella stalla intento a farsi mettere i ferri nuovi, “ ...voglio conoscere questi musicisti nella loro vita di tutti i giorni...” dice Bertolucci. Poi lo staff della RAI ed il regista si spostano al Lido Po di Boretto dove filmano Oracle King e la sua band in un esibizione musicale sulle rive del Po nell'onirico scenario dell'area dei relitti navali del Museo della Navigazione.
Bertolucci ha poi concluso le riprese nel tardo pomeriggio (per il documentario dal titolo “Viaggio sul Po” che andrà in onda in 6 puntate a partire da gennaio 2009 su RaiDue) con un'intervista a Oracle King, Oscar Abelli, Max Lugli svoltasi all'interno dell'Osteria Dal Brilant, con una girandola di domande a proposito dell'originalità di questa scena di artisti di blues del Po unica in tutta la penisola. Gran finale serale è stato il concerto della Oracle King Band che si è esibita sempre all'interno dell'Osteria Dal Brilant davanti a tutti i fans che hanno gremito il locale.
La RAI e la Kayman Records sono liete di ringraziare tutte le persone che si sono rese disponibili ed hanno dato il loro aiuto durante lo svolgimento delle riprese, un ringraziamento particolare a tutti i fans che hanno partecipato.

Martin Iotti (Kayman Records)



Frasassi Music Festival 2008  
(Genga, AN) 

Si è conclusa il 13 agosto scorso la prima edizione del “Frasassi Music Festival” organizzata dal Comune di Genga (AN) con il Consorzio Frasassi. La location, molto suggestiva, è stata la piazzetta sottostante l’antica Abbazia di San Vittore delle Chiuse, incastonata nella Gola di Frasassi.
Il Frasassi Music Festival, pur essendo all’esordio, ha dimostrato grande coerenza e cultura, infatti ha saputo ben bilanciare gli spazi musicali dando giusta evidenza sia ai gruppi emergenti che ai professionisti del palco.
In ogni serata si è esibita una opening-act band, selezionata tra le migliori delle scuole di musica delle Marche. Le medesime scuole di musica si erano incontrate precedentemente in una simpatica gara chiamata “Meets Schools” per “autoscegliere” i gruppi che avrebbero aperto i concerti di artisti di fama internazionale come Eric Steckel, Andy J. Forest e Sandra Hall. Una seria alternativa alle classiche selezioni tipo San Remo o, peggio ancora, come il BluesIn. A guadagnarsi il palco sono stati: gli HDemia Blues Band (Accademia Musicale Ancona), i Jazz Therapy - Arcevia Jazzfeast (Istituto B. Padivan di Senigallia) ed i Canvasky (Artemusica di Falconara Marittima). Ha presentato le serate la brava e bella Silvia Rosetti.
Come nella migliore tradizione marchigiana, non poteva mancare la degustazione di prodotti locali; è nato così il progetto “Fresco di Grotta” (organizzata dalla Provincia e dalla Camera di Commercio di Ancona) che ha seguito tutti gli eventi presentando presso l'adiacente Mulino di San Vittore, gentilmente concesso dalla Comunità Montana dell'Esino Frasassi e dal Parco Gola della Rossa, la bibita ufficiale del Festival di Frasassi: il Verdicchio “Fresco di Grotta” dei Castelli di Jesi.
In questa prima edizione ho seguito le ultime due serate: quella con Andy J. Forest e quella con Sandra Hall, accompagnata dalla  Gnola Blues Band.

09.08.2008, Andy J. Forest Band.
Parto da Taranto alle 6 in punto, incurante degli oltre 600 km. che separano i miei vinili da far firmare da colui che li avrebbe firmati. E’ la prima volta che mi reco a S. Vittore ma non avrei mai immaginato lo spettacolare paesaggio nel quale mi trovo immerso. Ad attendermi c’è il gentile Alberto Calò, del Consorzio Frasassi, che vuole assolutamente farmi visitare le Grotte di Frasassi, assaggiare il buon vino locale e spiegarmi il loro progetto. Quando gli chiedo come mai la scelta di chiamare un festival di Blues “Music Festival” e non “Blues Festival” lui mi risponde che in questo modo avranno la possibilità e la libertà di poter spaziare tra i generi musicali senza mancare di rispetto (culturale s’intende) nei confronti dell’uno o dell’altro. Scelta giusta, coerente e corretta, a differenza di altri Festival, molto più anziani e blasonati, che con il Blues si “riempiono” solo la bocca.
Andy J. Forest, Heggy Vezzano, Luca Tonani e Pablo Leoni, ormai sono una formazione più che consolidata. Come un treno a vapore d’altri tempi, confermano il loro tiro intelligente, abili nel saper dosare tecnica, estro e show. Nel corso della serata hanno presentato il loro ultimo CD “Real Stories” (Slang Records), vincitore del premio “Best Blues Album 2007” a New Orleans. I brani richiamano i vari aspetti della musica di Andy; un po’ come un’introspezione originale da cui emerge il suo inconfondibile stile armonicistico con cui racconta, con linguaggi tra Swing e Zydeco, e senza mai trascurare il Blues, la sua storia. C’è anche la bellissima figlia Alison, la bimba ritratta nella foto contenuta all’interno dell’album “Cat On A Hot Tin Harp” dell’87 mentre morde la chitarra del padre (evidentemente lo preferiva, già da allora, con l’armonica...).

13.08.2008 Sandra Hall & Gnola Blues Band.
Maurizio “Gnola” Glielmo (chitarra e voce), ormai nella storia del Milano Blues, Roger Mugnaini (Piano, Hammond), Tiziano Cimaschi (Basso), Max Bertagna (batteria) e Lilian Mihaylov (Tromba), sono certamente all’altezza della situazione “Gnola”. Guglielmo è di una modestia fuori dal comune, parlare con lui è come parlare con un compagno di vecchia data, anche se non ti conosce. L’anno di nascita della Gnola Blues Band è il 1989 come naturale conclusione di un percorso cominciato da Maurizio molti anni prima con Fabio Treves. E’ del 1990 il loro primo lavoro discografico chiamato appunto “First Step”. Da qualche anno sono in tour con la cantante statunitense Sandra Hall in quello che si può considerare ormai un collaudato sodalizio. Girano l’Europa diffondendo il loro verbo. Al festival hanno proposto il loro ultimo CD “Red Bone Woman”. Tra ballate blues e ritmi Soul, non smettono mai di stupire il pubblico anche grazie alla performance di Sandra che lo coinvolge continuamente con sketch esilaranti, degni di una show woman del suo calibro. Lo stampo gospel della voce della Hall ben aderisce allo stile blues degli Gnola in un compromesso sonoro e lirico davvero interessante, frutto della sapiente alternanza tra brani inediti (di Glielmo/Hall/Mugnaini) e classici della musica blues e Soul che rendeno i loro spettacoli tutt'altro che scontati.


Amedeo Zittano, agosto '08



Una serata di Steel guitars
Campbell Brothers al Liri Blues Festival
 (Isola del Liri, 7 luglio 2008)

Non capita spesso di ascoltare una band basata sul suono delle steel guitar, per questo motivo, quando sono stato chiamato con il mio gruppo (Jona’s Blues Band) a suonare da “spalla” ai Campbell Brothers, ne sono stato particolarmente contento. Anche perché la mia band (benché composta da romani) ha avuto il suo battesimo nel lontano 1985 proprio nelle vicinanze della cittadina di Isola del Liri che ospita il Festival.
I Campbell Brothers hanno in formazione ben due steel guitars per cui il concerto si preannuncia interessante. La cosa particolare è che gli organizzatori ci hanno proposto di suonare non prima del gruppo principale della serata, come di consuetudine, ma dopo di loro, intorno alla mezzanotte.
Va bene che il blues è un animale notturno ma la nostra paura è che, essendo un lunedì (e tutti sappiamo che succede negli stormy mondays), rischiamo di suonare quando la gran parte del pubblico si è già allontanata. Fortunatamente nel pomeriggio riceviamo la telefonata da Tommaso, uno degli organizzatori, che, sulla base delle precedenti serate, si è reso conto che è meglio esibirsi prima dei Campbell Brothers.
Caricata la bluesmobile come di più non si può, partiamo per raggiungere il palco per il sound check. Quest’anno il Festival è stato spostato, per le date più importanti, dalle sede del centro storico, molto suggestivo, ad una location più periferica che risulta essere più comoda per motivi logistici.
Ma arriviamo al concerto. La prima impressione è, vedendo i Campbell Brothers e per fare una battuta, che sarà bene non litigarci. I tre fratelli sono infatti dei ragazzoni alti e grossi alla stregua di Mike Tyson! La formazione è composta dai fratelli Chuck alla pedal steel (Darick alla lap steel, Phil alla chitarra elettrica e midi), il nipote (tutto in famiglia) Carlton alla batteria, Malcom Kirby (unico bianco) più una formosa cantante nera.
I Campbell Brothers sono gli eredi della tradizione della “sacred steel guitar”, musica afroamericana di matrice gospel nata nella Chiesa Pentecostale conosciuta anche come House of God, fondata nel Tennesse dalla predicatrice Mother Mary Tate.
La gran parte del repertorio è costituito da brani strumentali dove gli intrecci intessuti tra le tre chitarre dei fratelli Campbell la fanno da padrone ed il sound è un mix tra musica gospel, blues e black music più in generale. Il primo brano infatti è uno splendido gospel/ funk strumentale molto tirato tratto dal loro album “Can You Feel It?” (Ropeadope records 2005). Il disco è stato prodotto da John Medesky tastierista del gruppo jazz/funk Martin, Medesky & Wood; nelle note di copertina Medesky ricorda di essere rimasto folgorato dal suono delle steel guitar ascoltato nelle registrazioni della Arhoolie mentre stava lavorando a New Orleans con la Dirty Dozen Brass Band...
Il tastierista fu particolarmente colpito dalla compilation registrata dal vivo in alcune House of God “Sacred steel Live”. Nell’album i Campbell eseguivano, con vari ospiti, ben 13 delle 16 tracce.
Medesky fu talmente colpito da questa musica tanto da mettere su una band* insieme ai North Mississippi All Stars ed al chitarrista di steel guitar Robert Randolph**.
Ma torniamo al concerto. Il secondo brano ha invece il classico ritmo blues alla Jimmy Reed, è cantato in maniera splendida e nel finale, rimanendo ostinatamente su due accordi, si trasforma anche questo in un gospel dove la cantante invita il pubblico a partecipare con il battito delle mani mentre le steel guitars improvvisano. A questo proposito mi sono ricordato della simpatica nota di copertina del CD dove sotto la voce handclaps è scritto: “ognuno di noi, tranne John e Malcom, perché non sanno andare a tempo”. prendendo spiritosamente in giro gli unici due “bianchi” della band nella registrazione.
Il terzo brano “Morning train” ha invece un trascinante train time in cui le steel guitar imitano il caratteristico suono del treno (come spesso fanno le armoniche in molti blues). A seguire due brani sempre dal cd “Can You Feel It?”: “The Judgement” e “ A Change Is Gonna Come “. Quest’ultimo, eseguito con la steel guitar di Darick che simula la melodia della voce, sembra essere un sentito omaggio ad uno dei padri della soul music, quel Sam Cooke che fu una delle prime stars del gospel a passare alla musica profana.
I Campbell suonano tutti seduti su sgabelli, un po’ per le esigenze delle steel guitars ed un po’, probabilmente, per le origini “da chiesa” della band. Il bassista Malcom, dotato di un Fender Jazz vintage, con un tocco molto funky e con l’aria da folletto, è l’unico che ogni tanto si concede qualche passeggiata sul palco.
Il concerto prosegue con altri brani dal CD citato (tra i quali “Amazing Grace”, altro classico gospel) fino ad arrivare al trascinante finale durante il quale il fratellone Phil Campbell si alza dalla sedia per lanciarsi in una sorta di saltellante balletto, mentre continua a suonare la chitarra e ad incitare il pubblico ad una ancora più presente partecipazione. Così, tra ritmi gospel e splendidi duetti tra steel guitars, il concerto giunge al termine, molto gradito del pubblico nonostante l’inusuale proposta musicale.
Un grazie agli organizzatori del Festival che ogni anno allestiscono un programma di buona musica, con concerti anche originali (per i Campbell era l’unica data italiana), rimanendo sempre fedeli all’impostazione Blues della rassegna .
Si ringrazia Paolo De Luca per le foto.

*The Word (Ropeadope records 2001)
**Randolph appare anche nella compilation sopra citata (Sacred Steel Live). Oggi è abbastanza famoso, ha partecipato ai Crossroad Guitar Festival di Eric Clapton e, come ospite, in molti lavori appena usciti (tra cui l’ultimo disco di Buddy Guy).


Gianni Franchi



Musica Natural
  (Camerano, 29 giugno 2008)

Questa nota vuole dare rilievo ad un importante ed interessante progetto, istituito nel mese di settembre del 2007 dal Consiglio Comunale di Camerano (AN) con la partecipazione esecutiva dell’associazione di volontariato “Finestre Rosse”. L’Associazione, in piena sinergia con la Consulta Giovanile, ha avviato tutta una serie di progetti. Tra laboratori d’arte ed altre iniziative culturali, c’è da evidenziare l'adibizione a “sale prova” per band di alcuni locali facenti parte della struttura della loro sede (un ex asilo Comunale chiamato, appunto,  “Finestre Rosse”). In tal modo molte band troveranno lo spazio consono per esprimere, in tutta tranquillità, la loro musica.
Spiega Andrea, uno dei giovani volontari dell’Associazione: ”... quei bambini (riferendosi ai bambini che l’asilo Finestre Rosse ospitò) oggi fanno parte dell’Associazione con l'intento di instaurare un contatto diretto con la realtà giovanile della città promuovendo la socialità e l’incontro, affinchè le idee, la fantasia e gli interessi, trovino spazi in cui confrontarsi e mostrarsi, abbattendo le barriere dell’emarginazione, della solitudine, del disagio, e del pregiudizio.“
Il 29 giugno "Finestre Rosse" ha organizzato nel bosco Mancinforte di Camerano una jam session capitanata dalla Maurizio Matt Blues Band di Ancona. Molti ospiti si sono aggiunti nel corso della serata tra cui Joe Caruso (dall’Abruzzo) e Massimo Gas Blues. L’arietta fresca del bosco comunale, il buon aperitivo fatto di prodotti nostrani, le suggestive sfumature del cielo al tramonto viste dall’alto del colle di Camerano e, ovviamente, il buon blues acustico, hanno allietato gli spiriti della tanta bella gente presente facendo dell’evento qualcosa di straordinario, specie in un contesto, come quello delle Marche, davvero povero di eventi bluesistici. La provincia di Ancona ha beneficiato della passione di un pugno di volontari per proporre, tra gli eventi che affogano l’ennesima estate commerciale, un po’ di sincero Blues italico.
Con la speranza che altri Comuni facciano proprio l'esempio di Camerano, ci congratuliamo con “Finestre Rosse”.
Finestre Rosse ha sede a Camerano (AN) in via Loretana 144. Per info: finestrerosse@googlegroups.com
 

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