Guido "Rickenbaker" Toffolett
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   a cura di Amedeo Zittano

A contribuire fortemente alla realizzazione di questa ricerca sono stati sicuramente il Blues, la passione e la considerazione del fatto che Guido Toffoletti è stato, senza alcun dubbio, uno di quelli che ha anticipato i tempi nella sua professione, scontrandosi inevitabilmente con le incomprensioni alle quali vanno incontro tutti coloro che hanno questa dote. Certamente Toffoletti non è stato l’unico a sostenere il Blues in Italia, ma la sua immagine è rappresentativa degli sforzi e dei sacrifici di tutti i bluesmen italiani che hanno contribuito a far emergere a livello internazionale, ma soprattutto nazionale, il Blues Italiano. Ripercorrendo il suo tragitto artistico (principalmente estrapolato dal manoscritto autobiografico donato dallo stesso Guido al suo Amico Gerardo Della Chiara nel 1995), si comprendono i sacrifici e le speranze di un uomo nel realizzare i propri sogni. Guido è del ’51, nasce il venti giugno a Venezia e sin da piccolo manifesta una personalità forte e ribelle. A quattordici anni scappa dal collegio, con una fuga che rappresenta un primo e chiaro segno di reazione verso una società che lo vuole conforme ai canoni etici dell’epoca. Ama la musica e sogna una vita da girovago (come i vecchi bluesmen americani) così, dopo qualche mese, abbandonati definitivamente gli studi, sale sul primo treno per Milano, si aggrega ad un gruppo inglese, i "Renegades ed i genitori, ormai rassegnati, decidono di assecondarlo mantenendosi comunque in costante contatto. Guido realizza il primo passo verso il mondo della musica. Anche se collabora solamente al trasporto degli strumenti, l’aspirazione principale rimane sempre quella di dedicare se stesso e la sua chitarra al Blues. Da questo particolare momento della sua vita inizia un percorso di crescita verso l’elaborazione di uno stile personale. Va avanti così per qualche anno, più o meno fino al ’68, quando passa anche l’interesse popolare per il “fenomeno Bit” mediante il quale i giovani hanno creduto di poter cambiare il mondo con l’amore ed i fiori. Nel 1970 si sciolgono i “Renegades”. Inizia per Guido un periodo sempre più sconfortante che lo accompagna per qualche anno. Nel ’74, dopo aver perso il padre, trova lavoro come DJ in vari villaggi turistici ma la sua storia e l’istinto lo spingono ben presto a dover superare un’altro grande incrocio: era giunto il momento di decidere se lasciar perdere il Blues live e rassegnarsi definitivamente, oppure no! Decide di fare un ultimo tentativo. Il 18 dicembre del 1975 parte per Londra. In Inghilterra non conosce nessuno e da parte ha pochi sodi ed una chitarra; parla un buon Inglese e trova subito un lavoro come lavapiatti in un ristorante di Westbourne Grove. La notte di Natale di quello stesso anno assiste ad un concerto di Long John Baldry; lo avvicina chiedendogli una jam. Long John, entusiasmato dal suo talento, lo presenta ad Alexis Corner. Guido entra in perfetta simbiosi con il circuito musicale londinese. Nascono grandi amicizie ed il susseguirsi degli eventi è strepitoso, togliendo ogni dubbio sul da farsi.
Nel ‘76 forma una band dal nome storico “The Blues Society”, un laboratorio musicale aperto a tutti i musicisti che volessero condividere i propri blues in un progetto comune. Nel giro di pochi mesi attira su di se le attenzioni, dapprima della stampa e successivamente dei discografici Inglesi. Viene quindi prodotto il primo 45 giri blues italiano in Inghilterra! Frequenta una miriade di personaggi del panorama blues internazionale anche se per poter vivere il successo da solo non basta. Apre un negozietto di dischi a Mestre e riprende il lavoro di DJ in un noto locale di spogliarello a Venezia così, tra gioie e dolori,  passa un altro anno prima di acquisire notorietà anche in Italia. Nel 1979 al Vigorelli di Milano, suona da supporter per B. B. King. Gli anni ottanta iniziano alla grande: la Blues Society partecipa ad una miriade di festival e rassegne in tutta Italia; inaugura la prima edizione del Pistoia Blues Festival; partecipa ad una produzione discografica con Herbie Goins e Paul Jones; fa da spalla a John Mayall… Tra gli eventi più significativi di questi anni è opportuno ricordare la prima produzione italiana, pubblicata nel 1982, di un doppio album di Blues: “The Birthday Album” (un LP in studio ed uno dal vivo) che comprende varie jam sessions con oltre 20 ospiti tra cui Fabio Treves, Paul Jones, Herbie Goins, Andy J. Forrest, Mick e Trutz di Kim & the Cadillacs (i riformati Renegades) e tantissimi altri. La cosa più sensazionale e che, per la prima volta nel nostro paese, si fondono stili e culture diverse. Da qui in poi la Blues Society e Guido Toffoletti avranno un crescente successo fatto di innumerevoli collaborazioni, produzioni, passaggi radiofonici e televisivi… depositando più di 100 brani alla SIAE e contribuendo fortemente agli anni d’oro dello Spaghetti Blues (come verrà successivamente definito il movimento). Il 22 agosto del 1999, al culmine della carriera, Guido Toffoletti viene coinvolto in un drammatico incidente stradale perdendo la vita.


 A seguire, alcune testimonianze scritte da chi lo ha conosciuto:

Giò Alajmo, giornalista, critico musicale de IL GAZZETTINO di Venezia:

C'era un gruppo di amici a Venezia in cui, se qualcuno proponeva "facciamo qualche puttanata?" tutti rispondevano subito "Si. Va bene. Quale? Così  un giorno di qualche anno fa andammo a Rovigo, tre giornalisti (io, Roberto Bianchin di Repubblica e Guido Lion, che collabora con il Gazzettino ma è anche uno dei dirigenti europei dell'associazione delle guide turistiche), un sassofonista (Gilberto Giusto) e Guido Toffoletti, infilammo cappelli e giacche strane e aspettammo in piazza Duomo. Dopo un po' arrivò una Cadillac bianca decappottabile. Ci salimmo tutti, Bianchin con tamburello e percussioni, Gilberto col sax, io con una tastiera a pile collegata con un Pignose, Guido con la chitarra, Lion col suo basso semiacustico Meazzi (classe 1965) e cominciammo a girare per la città suonando dalla Cadillac. Era la domenica di apertura del Delta Blues festival. C'erano bluesman di strada in tutte le via. Noi arrivavamo, ascoltavamo da lontano tonalità e ritmo a ci univamo in session a chi capitava. Poi, siccome gli arrivi trionfali non sono propri del blues, in piazza ci tornammo a spinta, perché la Cadillac ci aveva lasciati a piedi. Tra le colonne del vecchio teatro Comunale ci avevano allestito una specie di palco, con tutta la strumentazione e un service. C'era un vecchio amico ad aspettarci, Kim Brown, già voce dei Renegades e di Kim & Cadillac. Guido era andato a prenderlo in Svizzera dove viveva senza musica e senza una lira. L'aveva ospitato, rimesso a posto, e riportato alla musica. Fu un bel concerto, mescolando blues, rock'n'roll, vecchi classici un po' di rock d'annata, qualche stecca ma chi se ne frega. Il blues era anche questo. Il blues italiano cominciò con Toffoletti, Treves e Ciotti. Quand'eravamo ragazzi Guido (Guido Rickenbaker per tutti all'epoca, occhialetti alla John Lennon, capelli lunghissimi, abiti alla Brian Jones) ogni tanto passava dalla soffitta in campo Sant'Angelo dove provavo a suonare col mio gruppo, si collegava ai nostri amplificatori e provava qualche nuova chitarra. La Dan Amstrong, la 335 stereo. Suonava un po', poi staccava il jack e se ne andava. Nessuno sapeva bene cosa fosse il blues e come "funzionasse" alla fine degli anni Sessanta, anche se per diecimila lire avevo fatto un affare, comprando da un amico una decina di dischi di John Mayall in un colpo solo. Al talento musicale di Guido in realtà credevano in pochi ma la sua passione era straordinaria. Dei suoi idoli conosceva tutto, storia, dischi, aneddoti. Cominciammo a frequentarci davvero alla fine del 1975. Guido era stato in Inghilterra, aveva conosciuto Alexis Korner che gli aveva presentato Long John Baldry e un po' di "amici". Guido era magrissimo, dormiva ospite di amici e sbarcava il lunario facendo il roadie per un gurppo che ogni tanto gli consentiva di suonare sul palco. Incise il primo disco privatamente, un album sostanzialmente grezzo e arraffazzonato. Ma fu il primo disco di blues italiano. Ne parlammo insieme, io lui e Nino Smeraldi (primo chitarrista delle Orme, considerato all'epoca un "vate" del rock veneziano)  una notte alla Malvasia Vecchia, una cantina a Venezia dove si faceva anche un po' di musica. Criticammo il suo disco dal punto di vista formale e lui la prese sul personale. Si offese e si incupì. Per sbarcare il lunario lavorava la notte in un night, mettendo musica per le entraineuses e le ballerine di cui poi diventava amico. Con i soldi comprava strumenti, dischi e si pagava lo studio di registrazione. Più tardi mi portò il suo primo disco inciso in Inghilterra ("Got my mojo walking" con la voce di Hans Triebnig) raccontando che aveva venduto 200mila copie. Era una palese balla ma la scrissi in un breve articolo che gli avevo promesso e che lasciai sul tavolo pensando di verificare la cosa appena tornato dalle vacanze. Era estate. C'era un buco in pagina e così qualcuno prese il mio articolo, lo pubblicò così com'era con un titolo immenso sotto un altro articolo su Patty Pravo. La storia pubblica di Guido comincia probabilmente qui. Toffoletti ha insegnato il blues a molti. Amici, fan, giornalisti, musicisti. Il suo modo di suonare non era accattivante nè furbo. lui pretendeva di suonare "giusto". Era grezzo ma limpido e per questo piaceva ai musicisti inglesi e americani, mentre gli italiani lo snobbavano. Mise insieme una band chiamata "Blues Society" perchè Alexis Korner lo aveva consigliato così. Il nome resta i musicisti girano, aveva detto il vecchio padre del blues bianco. Per provare occuparono la soffitta di una cascina a Silea (Treviso) di proprietà del batterista Orazio Di Salvo. Tolo Marton fu il suo primo chitarrista e arrangiatore. Glenn White la prima voce. Fui io a metterlo in contatto con Fabio Treves di cui avevo letto aver messo in piedi una blues band a Milano. Andò anche a suonare al Leoncavalllo, in una notte allucinante, quella in cui uccisero due ragazzi del Centro Sociale. Fu comunque l'occasione di incontrare Marino Grandi, direttore della rivista Il Blues, che stava tentando faticosamente di creare una situazione blues in Italia. Una mattina lasciai a Guido in segreteria telefonica la registrazione di un'intera canzone di Edoardo Bennato. Il Blues era finito in testa alle classifiche. Con Roberto Ciotti però i rapporti furono meno cordiali. A Guido si devono molte cose in campo musicale. Suonò come spalla di B. B. King, di John Mayall, suggerì praticamente gran parte del cast di blues italiano dei primi festival di Pistoia di cui fu l'unico non pagato quando l'iniziativa si interruppe per mancanza di finanziamenti comunali ("Vai pure tranquillo"....disse Willy David, direttore artistico), e dove per di più non è neppure citato fra gli artisti partecipanti nella storia del Festival. Quando Alvin Lee si trovò a Vicenza senza batterista, Guido chiamò da Venezia un ragazzino di talento, Max Iannantuono, che aveva fatto carte false per farsi presentare da me a Tullio De Piscopo. Max non aveva mai sentito un solo brano dei Ten Years After, arrancò su "Love like a man" ma alla fine se la cavò egregiamente. Finì nei guai una sera quando Guido lo convocò di notte per mostrargli il regalo cha aveva preparato per Keith Richard: un coltellaccio a serramanico con le iniziali di Keith incise a fuoco. Arrivò la Polizia, vide la scatola col coltello. Sequestrarono tutto pensando a chissà cosa. Oggi Max guida la Blues Society, in memoria di Toffoletti. Che si può raccontare di 25 anni di blues italiano?


Aneddoti sparsi. Paul Jones che dormiva in un monolocale che avevo in affitto a Mestre, le lenzuola fornite da Claudio Donà, e poi veniva nella taverna della casa dei miei genitori a fare le prove con la band. Alexis Korner nel mio salotto a bere porto parlando di bianchi e neri, di Guido che "suona giusto mentre gli altri ascoltano troppo rock. Il grande musicista è quello che sa quando NON suonare". Alexis che, con Guido disperato perchè doveva suonare a Venezia e il secondo chitarrista si era dato malato, gli dice "Guarda che suono la ritmica mica male anch'io..." e lo accompagnò per tutto il concerto seduto su un amplificatore, in disparte "perché è il SUO concerto, non il mio". Nick. Il figlio di Alexis, venuto da Londra a suonare con Guido, che rimase un'ora al telefono (il mio telefono accidenti a lui!) a parlare col padre piangendo, supplicando e chiedendogli i soldi per un nuovo strumento per poter andare in tour con Guido e il padre a dirgli "arrangiati è la tua vita è il tuo lavoro i soldi che ti servono devi imparare a guadagnarteli". Un giorno sapemmo che il povero Nick, anni dopo, si era ucciso. Pistoia. L'incontro con Muddy Waters, immenso, straordinario, con due guardie del corpo grandi due volte lui, che ci tendeva con un sorriso la mano con anelli giganteschi. Chuck Berry, al ristorante a Udine, cordialissimo. Inavvicinabile solo due minuti dopo essere uscito dal locale. Keith Richard a Venezia, che prendeva il tè sulla terrazza sul Canal Grande del Gritti, la moglie incinta. E intanto scriveva versi su un tovagliolo: "Questi sono per te Guido, ci metti sopra la musica e diventi ricco e famoso. E poi se vieni a Parigi ti metto a disposizione la band..". Guido sgranò gli occhi: "la band?". Già. La Band. QUELLA BAND!. E poi ci andò davvero a Parigi e ci suonò davvero con quella band, andando a far baldoria nella notte per le strade. Un giorno mi chiamò. "Ho una cosa da farti sentire". Sentii per telefono il suono di una segreteria telefonica e poi rumori di festa sullo sfondo e la voce inconfondibile di Keith: "Ehi Guido Hallo! Happy New Year! Alla Faccia di ki ci vuole male!". Ogni tanto in concerto Keith indossava la maglietta con quella frase, che Guido gli aveva regalato. Ero a Roma quando Arbore volle Guido a Doc, la trasmissione musicale dal vivo fatta troppo bene perché potesse aver successo. C'era Paul Jones, e lo straordinario Dick Heckstall-Smith ai sax. A un certo punto salì sul palco uno sparuto ragazzino con la sua chitarra. "Suonava sempre al Big Mama e mi avevano chiesto se potevo fargli fare qualcosa", aveva spiegato Guido. Era Alex Britti. Nelle foto che scattai all'esibizione di Guido a "Doc", dietro a Zabeo, Heckstall-Smith, Paul Jones, Iannantuono, Fantinelli e Guido si intravede questo ragazzino con la chitarra dalla fisionomia oggi ben nota: "Avevo 19 anni - mi raccontò Alex - ero militare e suonavo spesso al Big Mama dove suonava Guido. Mi avevano invitato a partecipare a Doc con lui, ma ero in ritardo e arrivai direttamente dalla caserma con chitarra e amplificatore quando tutti erano già andati a pranzo dopo il sound check. Allora mi trovai da solo, collocai il mio amplificatore al suo posto, collegai le spine, la chitarra, ma non c'era il microfono. Allora pensai: se si comincia e il fonico vede che io, lo sfigato sconosciuto ragazzino Alex Britti, sono senza microfono se ne frega. Se trovano senza microfono il grande Dick Heckstall-Smith, qualcosa fanno. E allora presi il microfono di Heckstall-Smith e lo piazzai davanti al mio amplificatore. Quando poi arrivarono gli altri, Dick vide che non c'era il microfono, subito corse uno e gliene mise uno nuovo. Poi vidi dietro al vetro della regia il tecnico che mi guardava e sorrideva, perché aveva capito tutto. Quella fui la mia prima apparizione in televisione". Korner morì prima di suonare le parti di piano del disco che avrebbe dovuto fare con Guido. Toffoletti era disperato. Le basi erano pronte e le tonalità scelte dallo stesso Korner. "Prova con Ian Stewart", gli suggerii. "Ma non lo conosco", obiettò. "Non sottovalutare la tua storia. Se conosci Keith e Alexis ha scritto le note di copertina del tuo disco, hai già un buon biglietto da visita". Ian Stewart andò in studio a registrare tutte le parti di piano. Quando Guido gli chiese quanto voleva di compenso, Ian gli diede una pacca sulla spalla e disse "Next time". Con Guido andammo insieme anche a Manchester per l'omaggio ad Alexis Korner un anno dopo la morte, dividendo i camerini con Jimmy Page e Robert Plant che tutti si chiedevano che fine avessero fatto. Erano lì con noi. Guido cantò "One scotch one bourbon one beer" con la figlia di Korner, Sappho, e Page e Plant chiusero lo show. A Londra fummo ospiti in casa Korner, la piccola casetta di Alexis in centro, pareti di legno, copie di "Mojo" abbandonate qua e là, un pupazzo gonfiabile alto un metro del "Grido" di Munch che campeggiava nel salotto. Guido doveva registrare delle parti di chitarra con Mick Taylor. Per cui andammo nello studio di Damian Korner. Mick arrivò, attaccò la chitarra all'amplificatore, poi provò tutta una serie di soluzioni diverse. Alla fine optò per mettere l'ampli in una stanza, lasciare la porta aperta e suonare in un'altra stanza con un lungo cavo per avere il giusto riverbero naturale che voleva. Intanto Damian mi chiedeva: "Cosa posso far pagare a Guido per questo? Ma se gli faccio pagare qualcosa la mia famiglia si arrabbia!" Mick è stato per Guido un buon amico e un buon passe-partout. Per concordare quelle registrazioni Toffoletti aveva penato un anno, non riuscendo a rintracciarlo. Poi aveva saputo che stava provando per il tour con Bob Dylan. Guido aveva telefonato a John Mayall che gli aveva dato un numero. L'aveva fatto. Aveva risposto una voce nasale: "Chi ti ha dato questo numero? John Mayall. Ah. Ok. Mick è qui adesso te lo passo".  La voce era quella di Bob Dylan. Il numero era quello di casa sua. Mick e Guido si erano poi trovati a Verona da dove partiva il tour italiano di Dylan. Bob era nervoso perché i musicisti si erano portati mogli e fidanzate e lui non era d'accordo. ne discuteva con Mick e Guido nella camera d'albergo di Taylor. "E' la prima data del tour - aveva spiegato poi Mick a Guido - e sono tutti nervosi. So che dovrei venire a incidere la chitarra per il tuo disco ma vedi che non è il momento di chiedere permessi". Scapparono. Nella notte. Senza dire niente a nessuno. Mick incise le sue parti in uno studio di Vicenza e tornò in albergo senza che nessuno se ne accorgesse. Poi a Milano  andammo insieme a trovarli. Organizzava Zard. Il nome di Guido non era sulla lista. Dissi a Patrizia, la moglie di Zard, che lo guardava strano: "Bada che Guido è esattamente quello che dice di essere. E' meglio se contatti il management di Dylan". Alla fine si fece convincere. Andò lemme lemme. Tornò veloce e sorridente. "Scusa ecco qui i passi, i camerini sono di là". Erano gli incredibili passi "All areas" di Dylan, grigi, di stoffa, triangolari con disegnato un grande occhio. Finimmo a ridere e scherzare con la band attorno a una tavola piena di frutta  con Bob Dylan seduto in un angolo che tentava inutilmente di concentrarsi e che lanciava occhiate in tralice chiedendosi chi diavolo erano quei due rompicoglioni in camerino....  L'ultima volta che vidi Guido fu a Soave, vicino Verona, l'avevo accompagnato al festival della chitarra dov'era ospite James Burton, il chitarrista di Elvis che avevamo conosciuto anni prima a un concerto di John Denver a Villafranca. Guido ne approfittò per coinvolgere Burton in alcune registrazioni.

Le ultime. Un sabato sera, mi chiamò: "Domani ti mando le date del nuovo tour che sta andando bene. Alla gente piace e mi stanno chiamando da molte parti. Forse le cose stanno riprendendo il verso giusto".  Non vide mai l'alba del nuovo giorno. "The road is a killer", La strada è un'assassina, aveva scritto in una canzone tempo addietro. Maledizione. Di lui resta il colore sbiadito della scritta ELVIS LIVES che un giorno scrisse con la vernice spray rossa su una delle due colonne di marmo che segnano l'inizio del Ponte della Libertà che porta a Venezia. Lo scrisse per i dieci anni della morte di Presley. Sono passati quasi vent'anni, e la scritta è ancora lì. Che resiste come il blues.

Tiziano Felici, promoter: 

         Ho conosciuto Guido nell’autunno del 1984 in concerto in un auditorium a San Vito al Tagliamento. Lo avevo contattato dopo aver letto una sua intervista in una rivista musicale. Il personaggio mi aveva incuriosito e così lo andai a trovare per conoscerlo di persona. Da quel momento ha inizio una prolifica collaborazione che nel tempo ha  consolidato sempre più la nostra amicizia. Penso di avergli promosso una cinquantina di concerti anche se a lui piaceva dire solo serate. Avevamo in comune, a parte l’anno di nascita, l’amore per la buona musica da Elvis ai Beatles, Rolling Stones, il Beat Inglese e ovviamente il Blues. Di Guido apprezzavo la lealtà, la cortesia e il modo spiritoso che aveva nel proporsi. Gli piaceva il cinema di Totò e il fumetto a strisce di Black Macigno. Nel suo primo viaggio in Canadà si comprò il berretto da trapper come il suo eroe del fumetto.
Una volta mi chiamò dall’Australia per raccontarmi un’avventura galante era stato ingaggiato da un agenzia Londinese per un Tour di 10 date, lo spettacolo si chiamava “British  Invasion“ lui era ospite con diversi gruppi fra i quali ricordo i The Tremeleos. Dalla Cecoslovacchia invece mi spediva diverse cartoline in cui riferiva con allusioni il suo totale divertimento e per semplificare diceva “sembra di essere a Riccione come era negli anni 60”. Ultimamente, prima della sua scomparsa, lavoravamo insieme per ultimare un progetto di spettacolo di strada. Avevamo pensato di portare in giro nei vari Buskers festival  una marchin band di 4 elementi più un attore  vestito come Al Jolson (guanti bianchi e il viso dipinto di nero) che precedeva la performance del gruppo. Avevamo già pensato anche il nome “Storyville” o “Vaudeville brass band“. Per lui sarebbe stato una sfida ma trovava in questa idea anche un modo per divertirsi. Nel novembre del 1994 ha scritto una canzone profetica “The road is a killer” un testo veramente poetico che descrive la sua vita, la sua storia e stranamente anche la sua fine.  E’ stato stravagante anche in questo. Un incontro : Una sera andammo a trovare James Cotton a Trieste , si esibiva al Castello di San Giusto e al termine dello spettacolo lo invitammo a finire la serata in un club .La sua band si alternò sul palco con musicisti locali con session travolgenti, la gente ballava sopra i tavoli  era una festa spontanea e improvvisata. Noi restammo al tavolo con James a parlare quando un musicista portò una chitarra acustica  consegnandola nelle mani di Guido, che cominciò a suonare un vecchio blues. Appena finito il pezzo James gli metteva un dito fra le corde e Guido non intendeva  cosa volesse fare e a tal punto Guido si voltò verso di me dicendomi che erano tempi africani molto incomprensibili per noi. “vedi se c’era Keith  (Richards) avrebbe capito”. Questa storia creò un po’ di imbarazzo a Guido e allora James sorridente gli confidò di non preoccuparsi e disse “vedi più semplice suoni e meglio è perché più gente ti capisce” Ci salutammo fuori dal locale e per concludere James ci invitò entrambi a Chicago a casa sua e Guido gli rispose “ma avrai delle cose da fare non ti vogliamo recare disturbo”, risposta: “le cose da fare le faremo insieme”.


Sergio Dalla Chiara, musicista e giornalista:
  
      22 agosto 1999… da quel giorno, qualcuno ha scritto, “il mondo del rock è più povero”. E ancora ci si domanda perché, doveva ancora spuntare l’alba, Guido se ne andasse su di un argine buio a cavallo di una sgangherata bicicletta… l’ennesima burla, forse, rivolta agli amici di quella sera? Quel giorno, era di domenica, la mia giornata in compagnia di amici a casa di uno di loro scorreva in allegria; il mio amico Marino allestì un piccolo palco e in due o tre ci mettemmo a suonare con le chitarre, a cantare quelle  splendide canzoni degli anni ’60. Dopo un po’ mi sentii strano, non avevo più voglia di suonare e gettai la chitarra… strano… "Sergio cos’hai?" mi dissero gli amici. "Non ho più voglia…". Pochi minuti dopo mi raggiunse una telefonata sul cellulare; era un amico che mi comunicava la terribile notizia. Al telegiornale regionale avevano appena annunciato che Guido era morto. Un giorno Guido mi invitò a casa sua; sembrava un tempio… in penombra la sala in cui spiccava una statua in vetro di 30-40 centimetri del grande Elvis, i cassetti della sua camera zeppi di spartiti dei Beatles, accuratamente e uno per uno riposti su velina. Poi mi fece sentire la telefonata registrata di Keith Richards che gli augurava "Happy Birthday" al telefono alle quattro di notte. Giù al pian terreno aveva un pied a terre dove in quel periodo dormiva Kim Brown a cui Guido fece incidere un cd e gli faceva a quel tempo anche da produttore; in quel locale c’era un juke boxe con su il 45 giri dei Renegades, il primo gruppo di Kim che lo aveva fatto diventare famoso negli anni ’60 e con cui partecipò a Sanremo, quella favolosa "Lettere d’amore", cantata da Kim in uno sgangherato italiano e più in là c’era un flipper, alquanto scassato; cimeli di un mondo che Guido tanto amava. Sul campanello di casa non appariva il suo nome:"… non voglio che la gente sappia che abito qui", diceva, ed appariva invece un fantomatico avvocato di cui non ricordo il nome. Little Tony sapeva invece dove abitava; un giorno venne a Venezia e gli suonò il campanello; Tony, accompagnato da Guido e da una bella bionda arrivata in sua compagnia, andò a giocare al lotto e vinse un terno secco. Guido diede notizia alla stampa e la Rai regionale intervistò la tabaccaia dove fu giocato il terno; Guido se ne stava in disparte, con un cappotto lungo e il berretto di pelle alla John Lennon. Per lui, anche quella era una maniera di far notizia. Io ero il suo segretario "segreto"; mi portava gli articoli che dovevo scrivere con il computer, scritti su una sgangherata macchina da scrivere, poi corretti a mano con tante aggiunte che gli venivano in mente dopo; di quei comunicati, "scritti così bene" mi diceva sempre, faceva svariati fax a giornali e riviste. Per ultimo l’ultima recensione del cd appena terminato e il nuovo spettacolo "Da Elvis al 2000". Per questi favori, mi regalò una sciarpa kitch di Elvis e un cd introvabile con tutti i successi dei New Dada e naturalmente tutti i suoi cd, il suo primo vinile "Born in London" e tante, tante foto. La sua apparizione televisiva in una trasmissione di Red Ronnie accanto a Bobby Solo e Tom Jones e tutte le apparizioni in Rai di Kim and the Cadillac registrate su videocassetta… Nel 1995 pubblicai la sua storia a puntate sulla rivista "Omnibus musica" di cui ero direttore editoriale (quel materiale poi è stato pubblicato sul mio sito internet, a lui dedicato). Un giorno mi disse: "Vieni con me in Cecoslovacchia che ti fanno nuovo". Credo lui fosse stato operato lì della sua miopìa e forse si fece anche un po’ di lifting… penso, perché quella sua aria di eterno ragazzo non poteva essere un dono di natura visto la vita che faceva; certo, Guido non beveva né fumava, però non era più un ragazzino di vent’anni o trenta come dimostrava… Fino a qualche settimana prima di morire, ci vedevamo quasi tutti i giorni; veniva a trovarmi al lavoro a due passi da casa sua, sempre verso l’una: "Vedi, per te è ora di mangiare, mentre per me è ora di colazione"…"Tu sei un’artista" gli dicevo e e lui si compiaceva. Sempre vestito strano e retrò , pantaloni in pelle, quel grande cinturone con la fibbia in metallo, l’anello d'oro a ferro di cavallo che si era fatto fare "perché così lo aveva anche Elvis…", due cellulari ancorati al cinturone e l’aria sbarazzina, con quella sua dolcezza quando ti salutava soffiandoti un bacio sul palmo della mano… ricordi senza rimpianti, e un amico che non c’è più. Nel 1996 fece da ospite in una manifestazione musicale da me organizzata, lui, Kim, Le Orme; il suo momento musicale assieme a Kim fu esplosivo, indimenticabile e, con nostalgia, ogni tanto lo riguardo sul video registrato. Un giorno andammo assieme ad un’intervista su TeleVenezia con Aldo Tagliapietra; Guido portò la chitarra e fece qualche pezzo… Aldo lo incitava e diceva: "Lui è uno degli artisti blues più famosi". Guido era conosciuto di più all’estero che in Italia e certo la sua musica non l’aveva portato ad apparire sulle copertine dei rotocalchi. Era conosciuto sì, ma soltanto a una fascia ristretta di persone, a "quelli del blues…". Guido era il manager di se stesso, curava la sua immagine e la diffondeva personalmente ai media, si procurava i concerti e i vari musicisti di cui era sempre ed inevitabilmente il band leader. Si cercava le collaborazioni eclatanti, sia nei concerti, sia nelle incisioni; forse musicisti un po’ in disuso, ma che negli anni ‘60 erano stati grandi ed avevano ancora qualche pagina da scrivere nel mondo della musica. Quello che forse pochi sanno, è che Guido ha lasciato un album postumo e mai pubblicato. Le canzoni sono là, forse qualcuna ancora da mixare, ma poterlo pubblicare, sarebbe di certo un grande omaggio a un grande  artista.

Fabio Treves, musicista:

      Guido Toffoletti mi manca, mi manca soprattutto la sua passione per il blues, le sue malinconiche telefonate notturne, ricche di entusiasmo e polemiche, ne aveva per tutti.. Ero forse l'unico con il quale condivideva certe sue intime emozioni e stati d'animo.. In lui ho potuto apprezzare in quasi 30 anni di sincera amicizia, l'ostinazione, la generosità e la grande passione.. Come me era partito dalla musica inglese della metà degli anni sessanta per arrivare alle radici della musica nera. Bisogna ringraziare Guido se nel lontano 1979 o 1978 non ricordo esattamente, in Italia è arrivato il grande padre del British Blues: ALEXIS KORNER. Ma anche Paul Jones, ex Manfred Mann e fondatore dell'inglese Blues Band era grande amico di Guido, più di una volta ci siamo incontrati ed abbiamo scambiato pareri e consigli utili per la nostra attività..Toffoletti era soprattutto apprezzato per la sua grande energia nell'organizzare e proporre eventi che vedessero grandi collaborazioni...in un doppio vinile era riuscito a mettere insieme nomi come Jorma Kaukonen, Andy Forrest, Paul Jones, il sottoscritto, Herbie Goins e tantissimi altri...vastissima è la sua produzione su vinile e CD, era uno che in maniera assolutamente indipendente si produceva i dischi, tranne che per il primo, per il quale gli scattai io la foto di copertina. Non tutti i musicisti in Italia andavano d'accordo con Guido, dava fastidio il suo modo di  essere sincero e di essere spesso contro corrente.. Era un tipo generoso, sul palco e nella vita, non era uno che "se la tirava"..anche se a volte gli piaceva fare lo "sborone".. come quando prese la Rolls Royce o la chitarra appartenuta a Keith Ricvhards, per intenderci quella trasparente, mi sembra un Dan Amstrong, se sbaglio non me ne vogliano gli intenditori… Se ne è andato una mattina d'agosto, travolto da una macchina, senza fare rumore, un po’ in sordina.. lo hanno ricordato gli amici d'un tempo, il giornalista del "Gazzettino di Venezia "Joe Alaimo ha organizzato una  serata musicale per ricordarlo così come avrebbe voluto lui: tanti ospiti, un bel casino come quella sera al Teatro Toniolo di Mestre.. per voi che magari non l'avete conosciuto Guido Toffoletti non è che un nome tra tanti, ma io posso testimoniare che assieme a Tolo Marton, Roberto Ciotti ed il sottoscritto, ha fatto tanto, ma tanto davvero per fare conoscere il BLUES, in Italia.. andate a cercare i suoi lavori, scoprirete un artista particolare, semplice e desideroso di coinvolgere il suo piccolo grande pubblico di appassionati...Potrei andare avanti per ore, ripeto abbiamo condiviso tante esperienze all'insegna del Blues, ma mi sto accorgendo che mi sto commuovendo, e questo non mi fa bene in una piovosa mattinata di settembre a Milano... Vi lascio cari amici, se volete saperne di più sul bluesman veneziano GUIDO TOFFOLETTI potete anche scrivere alla rivista IL BLUES, fondata dallo stesso nel 1980, assieme a tanti amici tra cui Marino Grandi che ancora oggi dirige la rivista con passione ed entusiasmo, ciao a tutti, e che il Blues ci accompagni tutti i giorni.

Paolo Ganz, musicista:

Mi stavo restaurando, per conto mio, la casa dove sarei andato a vivere dopo sposato, e siccome ero stanco, scesi all’Osteria da Franz (allora ancora osteria di nome e di fatto) per un bicchiere. Lì, appoggiato al frigo dei gelati con la scritta “Algida” rossa e blu, lessi sul “Il Gazzettino” un’intervista a Guido, dove diceva più o meno: “…se ci sono bluesmen in città, che si facciano sotto, che mi contattino per fare delle cose insieme!…”. Richiusi il giornale con la sensazione di stare a perdere un’occasione, ma era sensato aspettare (pensai)  per via dell’allora mia condizione di aspirante apprendista nella “Musica del Diavolo”. Non potevo immaginare, tornando a pitturare casa, che le nostre strade si sarebbero incontrate pochi anni dopo. Dal momento che stiamo parlando di un lasso di tempo che va, grossomodo, dall’inizio alla metà degli anni ’80, sarà bene ripetere che lo spartiacque tra chi valeva e chi no era allora ancora rappresentato dal  disco, il vecchio vinile, il 33 giri. Era una divisione fatta con l’accetta, si capisce, ma le cose stavano così e, per certi versi, sarebbero rimaste tali anche dopo il momento della nostra storia. Quindi, quando mi sentii pronto per il grande passo (l’entrata in società, diciamo) un paio d’anni dopo l’uscita dell’intervista a Guido, entrai in studio. Di cassette demo ne avevo già fatte un paio, il 33 sarebbe stato costoso da registrare ed anche da stampare, perché di trovare un produttore/finanziatore non c’era nemmeno da perder tempo a pensarci, così (salomonicamente) scelsi il 45 giri, supporto che aveva accompagnato la nostra infanzia ed ancora esisteva e veniva acquistato con una certa disinvoltura. C’era però un’altra ragione di ordine pratico che ero riuscito ad intravedere: il 45 mi sarebbe costato poco ed avrei potuto, senza troppe remore, regalarlo  a scopo promozionale. E si rivelò una mossa azzeccata, dal momento che iniziarono a fioccare recensioni, partecipazioni ad un paio di trasmissioni su radio rai e, soprattutto, concerti, concerti, concerti. Le reazioni degli addetti ai lavori (leggi musicisti) furono svariate ma tutte intonate al seguente ritornello: “…ma se avessimo saputo di te, ti avremmo ben dato una mano!…”.       Il bello è che “…sapevano di me…”, ma (probabilmente per non sporcarsi le mani in un eventuale flop) aspettavano di vedermi entrare in società per conto mio, attraverso uno dei canali riconosciuti, o meglio, che loro riconoscevano…ed il disco (33, al limite anche 45) era uno di questi! Guido, invece, di me non sapeva nulla per davvero, dal momento che mai avevo avuto l’azzardo di farmi vivo con lui in qualsiasi modo. Ebbe il mio lavoro attraverso un passaggio complicato e non certo per mia intenzione, ricevendolo, qui il ricordo si fa indistinto, forse per mano di Giò Alajmo. E Guido mi chiamò. La prima cosa di cui mi accorsi, parlando al telefono, fu che anche lui balbettava come me, anche se in un modo diverso, perché anche nella balbuzie, come peraltro nel Blues, esistono stili e maniere diverse di esistere. A differenza della mia, quella di Guido era una balbuzie timida, di poca esibizione, che sembrava più un incantarsi a cercare la parola giusta… Un balbettare a cui si poteva voler anche bene. Volle vedermi e parlammo di molte cose: iniziai a capire che in giro non era tutto oro e che il mestiere che volevo fare non era proprio quello in cui, come diceva Guido, si va in giro distribuendo santini. Ricordo che, prima del commiato, a notte fonda lungo la Riva degli Schiavoni, venne a sapere che non avevo l’automobile e che, per i miei concerti, mi appoggiavo a qualche amico o componente della band o, se ero solo, alle ferrovie dello Stato. Fu schietto e diretto come sempre con me è stato: “Se devi essere un band leader, non puoi permetterti di dipendere da chicchessia: fatti la patente!”. In passato avevo giurato e spergiurato che mai e mai avrei guidato;  un po’ per paura ma – soprattutto – per via di un certo attaccamento atavico a quello specialissimo senso di adattamento di noi veneziani che ci fa dire, o pensare, che quando si è a Venezia non c’è bisogno di nulla e si è sempre al centro del mondo, dal momento che tutto ciò che ci circonda  – alla fin fine – è periferia, campagna. Ma le parole di Guido erano state perentorie e consistenti come un macigno: il giorno dopo andai ad iscrivermi ai corsi di una scuola guida! Nei primi anni di musica non fui grato a Guido solo per avermi scosso dal mio sogno di bluesman autostoppista con il quale mi andavo baloccando da tempo, ma anche per avermi dato la mia prima vera possibilità di apparire in concerto accanto a lui ed un altro grande del momento. La “Blues Society” dell’epoca era quella che per il sottoscritto rimane, senza offesa per nessuno, la miglior “Blues Society”: Toffoletti, Zabeo, Fantinelli, Jannantuono; primo grande ospite straniero Dick Heckstall-Smith! Dick, quando era stato “ripescato” da Guido non se la passava mica tanto bene, ricordo,  e così ritornare in tournèe aveva dato al vecchio sassofonista (leone del British Blues negli anni ’60) una botta di vita! Tutti lo riconobbero, tra gli appassionati; non era cambiato poi molto dalle immagini delle vecchie copertine dei “Colosseum”: in anni di cappelloni Dick era l’unico calvo! Suonarono una sera al “Tag” di Mestre, e il buon Guido mi invitò: “Te lo meriti, disse, per via di quel 45 giri coraggioso: porta le armoniche!” Sarebbe stata senza dubbio la prova del nove, tantopiù che all’epoca, quando si muoveva la “Blues Society” era sempre un bel sentire e c’era sempre un gran seguito. Emozionantissimo raggiunsi la sala, conobbi i ragazzi e Dick al quale, colmo della sfiga, dovetti prestare per tutto il concerto il mio “Green Bullett” della Shure (quel microfono a fanale visto in tutte le foto di vecchi bluesmen e finalmente posseduto) dal momento che il suo non funzionava. A tre quarti del concerto, Guido mi presentò, elogiando il mio disco, ed invitandomi sul palco per un paio di numeri: ero tesissimo e la mia gola si era seccata in un attimo per l’orgasmo. Suonare l’armonica con quella arsura sarebbe stato impossibile, ordinare una birra dal palco una cafonata terribile, quindi presi il primo boccale che mi venne a tiro, placai il mio fuoco…e suonai. Era proprio la birra di Dick e qualcuno della band, avendolo notato, mi consigliò (scherzando neanche tanto) di andarmi a fare vedere dal medico il giorno dopo! Furono due o tre pezzi, nemmeno ricordo quali, ma passarono in un attimo, un batter d’occhio, una frazione di secondo… o così sembrò a me! Scendendo dal palco, tra applausi sinceri e strette di mano, ero alle stelle! In questi casi gioca molto a favore del debuttante il fatto che uno noto lo avesse preso sotto la sua cappella (e questo Guido lo sapeva a menadito dal momento che conosceva da Maestro la legge dello spettacolo) e se il novizio ci sapeva anche fare – e modestia a parte questo era il mio caso – allora l’entusiasmo saliva alle stelle dal momento che ogni spettatore riteneva di essere stato presente come ad una rivelazione, ad una scoperta… Negli anni a venire continuammo a sentirci e vederci in varie occasioni: Guido si stupiva per la mia memoria per i fatti di Blues ed io – apposta – giocavo a meravigliarlo chiedendo che fine avesse fatto quel suo antichissimo tal collaboratore o perché avesse messo proprio quel solo in quel tal pezzo e così discorrendo. Sentivo che in qualche modo mi stimava, ed era una cosa reciproca perché avvertivo sin d’allora che Guido aveva la capacità di far avverare i suoi sogni usando soltanto la cocciutaggine, il suo savoir faire  e, in qualche occasione, la sua faccia tosta, accessorio indispensabile ad ogni manager di se stesso. Nessuno di noi del giro, all’epoca, avrebbe avuto - ad esempio - il coraggio di contattare grandi nomi stranieri per chiedere collaborazione, aiuto o cos’altro: Guido sì, dimostrando che, se veramente si crede in qualcosa (indipendentemente dalla molla che ci spinge a ricercarlo) la si può ottenere, con un po’ di tatto, astuzia e determinazione. Più avanti sulla strada mi chiamò per partecipare a D.O.C., trasmissione “Cult” che all’epoca tutti seguivano, e fu un ingaggio curioso, dal momento che a quel programma dovevo partecipare per conto mio (lo so per certo) ma poi fui aggregato alla “Blues Society” dissero, per ragioni di provenienza geografica (?)… Potevo dire di essere oramai abbastanza noto e preparato, ma fui comunque presentato come il “ragazzo di bottega”, ma non mi pesò, dal momento che c’era della benevolenza. Dopo questa esperienza Guido ed io iniziammo a parlarci con più sincerità: non che fino a quel momento si fosse mentito, ma era sorto il desiderio di lasciare sul palco quello che al palco apparteneva e confrontarci l’un l’altro con più semplicità ed ammissione. Guido era solo, lo avvertivo chiaramente e anche lui a volte lo ammetteva senza sottintesi; anche sua madre l’aveva lasciato qualche mese prima, e quasi nessuno lo aveva saputo! Me lo confessò lui stesso in una nottata spesa camminando e chiacchierando in giro per la nostra Venezia, proprio davanti alla stazione, lo ricordo ancora, lì in piedi sul piazzale bagnato. Ricordo qualche frase intima e segreta, subito scacciata dall’incalzare di nuovi progetti ed idee: era fatto così, ed ho sempre pensato che si desse tanto da fare sì perché amava il suo lavoro, ma anche per non fermarsi troppo a pensare. Non avevamo nemmeno più il bisogno, come capitava a volte tra colleghi, di nasconderci dietro ai racconti di continui ed improbabili successi: si diceva pane al pane, vino al vino e culo al culo, mettendoci reciprocamente sul chi va là e consigliandoci su dove era bene andare a suonare e dove no, su di chi era bene fidarsi e di chi no. Così, dal momento che non c’era più bisogno di fingere, mi chiese di aiutarlo anche in qualche situazione diciamo, minore, di quelle alle quali tutti noi musicisti dobbiamo adattarci se vogliamo arrivare alla fine del mese. Tra le altre, ricordo una domenica mattina (ma si è mai visto?) dalle parti di Bosco Mesola a suonare per un rodeo in un ranch  di gente mascherata da Cow Boy, ed un’altra volta, sempre in duo, in un posto vicino Forlì dove (con mia somma invidia), fu accolto come un re dalla bellissima titolare. Conoscendo la mia situazione famigliare, mi chiamava bonariamente “family man”: “Lo so”, diceva “sei un uomo di famiglia, io non ci riuscirei mai!” e si scherniva. Ed invece ci sarebbe riuscito ed anche bene, perché secondo me sarebbe potuto essere quantomeno un padre tenero ed affettuoso, se solo gliene fosse stata data l’opportunità. E poi  non beveva e non fumava: sarebbe solo bastato (si fa per dire), che la smettesse di tirar tardi la notte! Guido ed io avevamo una certa propensione per le burle, e ce ne scambiammo un paio; ed una grandiosa l’ordimmo alle spese di un pallone gonfiato francese, preteso armonicista, che aveva accusato lui di poter permettersi di fare Blues perché padrone di palazzi  e disegnato me come un grosso raccomandato. Lasciammo poi perdere più per pigrizia che altro, tanto più che Guido era abituato a critiche e malignità! Molti colleghi non perdevano l’occasione per criticarlo e così anche qualche vicino collaboratore ringhioso ma incapace e incerto a volare per conto suo. Lui ne soffriva un poco, ma non lo dava a vedere e ripeteva che quando arrivano le critiche, vuol dire che si sta facendo qualcosa di buono! Certi giornalisti poi… Non sono quasi mai riuscito a leggere un articolo o una recensione su un suo lavoro in cui non si dicesse, più o meno: “…tutti noi sappiano che Guido Toffoletti non è un gran cantante, un buon chitarrista, un compositore di talento, ciononostante…” E questo era l’usuale cappello a premessa della recensione a venire! Ed ogni volta io a pensare che, dal momento che tutti lo sapevamo, forse non valeva la pena di ripeterlo… E’ curioso: in un Paese in cui vengono accettate senza batter ciglio le grossolanità musicali più evidenti, dove anche gli svergognati (e le svergognate) sono autorizzati a salire su di un palco per fare un qualcosa, nell’ambiente Blues non si è mai lasciata scappare a Guido la più lieve caduta di tono, ed ogni suo lavoro veniva minuziosamente passato al setaccio e giudicato spietatamente e proprio in quell’ambiente Blues, per il quale, in generale, Guido aveva fatto tanto! Ed anche dopo la sua partenza, tutto quanto si dice, non dice, non racconta, non appiana. Ero in Spagna, quell’agosto, a suonare con l’Orchestra “Città di Brescia”, in compagnia di Salvini che mi ero tirato dietro per rivivere la  memoria dei nostri tanti viaggi su e giù per l’Europa, ed una sera, seduti nella piazza principale di Logroño (con un caldo africano), ricordavamo le storie di Guido ed i suoi inesauribili sogni ed amori. Ne ridemmo con benevolenza, anche ricordando che, in occasione di un compleanno, regalò a Salvini un dopobarba… a lui, che portava la barba già almeno da dieci anni! Al mattino dopo fummo svegliati dal mio telefonino: era un messaggio di mia moglie, rimasta in Italia, che diceva: “…Incredibile: è morto…” a questo punto io dovevo premere il cursore per leggere il resto del messaggio che sarebbe apparso sul visore dell’apparecchio… Lo feci, ma già sapevo che sarebbe apparso quel suo nome da veneto! Poi ci furono i ritagli dei giornali conservati per me, i pochi contatti con conoscenti, il funerale, a dimostrarmi che non si trattava della sua ennesima burla. Ora Guido è andato, e quanto rimane di lui riposa in quell’angolo umido lungo il muro del cinerario; lì dove c’è già qualcuno della mia famiglia e dove – presto o tardi – andrò a finire anch’io. O meglio, ci andrà a finire quello che rimarrà del mio corpo, perché la parte che conta se ne sarà già andata da qualche altra parte in questo o in qualche altro mondo.        

Fabio Ulliana, musicista:

Ho conosciuto Guido Toffoletti circa 20 anni fa quando nel mio paese (Codroipo - UD) fu organizzato un festival di Blues (due le serate, la prima con Guido Toffoletti e la Blues Society con la Iatitaia Blues Band da gruppo di apertura, e la seconda con Tolo Marton e la Kokomo Blues Band come band di apertura). Dopo il concerto della prima serata, che ha previsto inoltre una "Jam" tra il gruppo di Guido e la mia Band (devo segnalare questo fatto della "Jam" in quanto non è così automatico che i musicisti più affermati si cimentino in "jam" con i musicisti meno conosciuti) siamo andati tutti quanti al bar dove abbiamo parlato di "Blues". Guido ci ha raccontato come ha iniziato a seguire ed a suonare il Blues. Ci ha colpito in particolare come giovanissimo sia partito da casa e dopo diverse avventure in giro per l'Italia sia approdato a Londra dove ha iniziato a conoscere (spesso stazionando sotto la loro casa) i Bluesmen inglesi quali Alexis Korner, ecc... Quello che personalmente mi colpiva di Guido era la voglia di suonare il Blues con diversi musicisti (sono state diverse le volte nelle quali anche noi abbiamo fatto delle "Jam" con Guido quando ci spostavamo in Veneto) e la sua umiltà (come ho detto precedentemente condivideva spesso il palco con musicisti meno conosciuti ed inoltre diceva spesso che non era un grande tecnico della chitarra). Era a mio avviso "il padre del Blues" in Italia: almeno era ed è così che io considero Guido Toffoletti, ovvero colui il quale ha portato in Italia dall'Inghilterra il Blues come i Bluesmen inglesi lo avevano a loro volta portato nel loro paese (elettrificandolo in particolare) dagli Stati Uniti.

Martino Palmisano, musicista:

Era il 25 giugno 1993.A Foggia si teneva la prima rassegna di blues "Note di Notte" organizzata dal Caffè Concerto Kandinsky. A chiudere la manifestazione che aveva ospitato qualche giorno prima anche Ciotti, Tolo Marton ed altri, era stato invitato Guido Toffoletti. Non potevo mancare all'appuntamento. Il sud, avaro di concerti blues mi dava l'opportunità di conoscere un grande del blues. Partii con la mia sgangherata fiat regata con un manipolo di amici e dopo circa tre ore di viaggio, arrivai a Foggia. Conobbi Guido e la sua band, composta all'epoca da luigi Todesca, Claudio Cappelli e Aleide Ronzani. Presentavano il cd "The Way it Was" un'antologia di pezzi che celebravano i suoi 25 anni di carriera. Passammo insieme il tardo pomeriggio e parte della notte tra chiacchiere, risate e una buona birra, come se ci fossimo incontrati dopo anni, invece era la prima volta. Persona squisita Guido, quando rivedo la foto fatta insieme con tanto di pantaloncini corti, calzini bianchi, mocassino nero e maglietta dei Rolling Stones mi viene da sorridere...Tenne un gran bel concerto. Una mistura di blues, rock'n'roll che inchiodo' la platea per tutto il tempo dello show. Compreso il suo "giro" tra la folla armato di chitarra elettrica. Un anno dopo, nel 1994, lo incontrai casualmente nel backstage del Pistoia Blues. Baci e abbracci (ma sono tuttora convinto che non mi avesse riconosciuto), altra foto ricordo e parlammo un po' di musica. Gli dissi: “sai Guido, in questo periodo, sto' ascoltando "ME" di Alexis korner,. “Come?”, mi rispose con la faccia stupita, "Me?. E un disco acustico stupendo” mi rispose. E mi parlò ancora come un anno prima di Korner, della sua amicizia con gli Stones, della sua passione per la musica, della sua tournée in Cecoslovacchia... Lunedì 23 agosto 1999. Ero in macchina, in autostrada, nei pressi di Reggio Emilia. Faceva un gran caldo. Mi fermai in un autogrill. Caffè, sigarette, "la repubblica". Erano le nove del mattino. Sfogliai il giornale partendo dalla fine. A pagina 36, un articolo di Giulio Di Palma diceva: “E' morto Guido Toffoletti bluesman spalla di B.B. King”. Rimasi col giornale aperto in mano per qualche minuto, immobile, il mio sguardo perso su quella pagina. Qualche minuto dopo ricevo una telefonata sul cellulare. Era Marco Greco, conduttore radiofonico appassionato di blues. “Hai letto i giornali?”, mi disse con poca voce, “Si”, gli risposi. Non avemmo il coraggio di dire nient'altro.


Claes Cornelius, musicista-promoter discografico  (Copenaghen, Danimarca):

Era un lunedì e volevo comprare La Gazzetta dello Sport per seguire come sempre la Juve, la Ferrari, ecc. "Mi spiace, oggi non abbiamo la Gazzetta ma vi sono gli altri quotidiani". Scelsi La Repubblica. Sfogliando, andando a casa in metropolitana, vidi un articolo che immediatamente mi riportò a Venezia, in un istante. Un articolo di cronaca, purtroppo, e non una recensione di un concerto o di un ellepi' pubblicato.
Feci la conoscenza di Giò Alajmo de Il Gazzettino tramite e mail pochi giorni dopo. Giò fu in seguito anche uno degli organizzatori del concerto memorial per Guido, e, non potendovi partecipare di persona, inviai un pezzo inciso su CD. Arriviamo però al dunque.
A metà degli anni 60' ero un danesino trapiantato a Venezia via Parigi, Nizza e Roma. A quel punto avevo iniziato a suonare la chitarra e la chitarra diventò una passione con l'esplosione della musica Beat in Italia e nel mondo. Per me, la rivoluzione musicale cominciò un po' prima, con Adriano Celentano, il super-molleggiato. A Roma dal 1958, andai subitissimo in visibilio per Celentano e "Il mio bacio è come un Rock". Questo preparò il terreno ai Beatles, Rolling Stones, Animals, ecc. Coi Beatles, il loro concerto al Vigorelli ed altri emergenti gruppi britannici, anche l'Italia fu quindi colta dalla Beatlemania. Inclusa, ovviamente, Venezia. Un giorno in vaporetto, vidi un tipo alto e smilzo, con capelli lunghissimi per quei tempi, camminare lungo una fondamenta e pensai: "wow, che capelli, per avere una simile lunghezza già ora deve aver cominciato assai presto!".
Poco tempo dopo lo incontrai tramite amici comuni e diventammo amici. A quei tempi, Guido era fan dei Beatles e sapeva praticamente tutto quello che c'era da sapere ed era insaziabile sull'argomento. Allo stesso tempo, io stavo diventando il "new kid on the block" a Venezia come chitarrista Blues/Rock cantando unicamente in inglese. Guido collezionava posters e fanzines, e cominciò presto una collezione di chitarre elettriche, avendone i mezzi. Entro breve aveva le tipiche chitarre dei Beatles ed i musicisti veneziani al corrente di questo erano sia un po' gelosi ed invidiosi, sia molto curiosi. Guido diceva e ridiceva: "colleziono, ma non suono".
Entrai nel circolo dei pochi eletti che avevano il permesso di vedere dal vivo le sue chitarre, ed occasionalmente, di suonarle per pochi minuti. Era fiero e molto geloso, e le sue chitarre erano davvero preziose. Aveva una Rickenbacker alla John Lennon, una Gretsch alla George Harrison - in tutto 5-6 chitarre la prima volta che sono stato a casa sua vicino al ponte Santa Lucia. Pochi erano quelli che erano in possesso di una Fender o Gibson, all'epoca. Principianti come me si barcamenavano su chitarre Eko a prezzi abbordabili dato che le Galanti erano troppo care.
Guido diventò un habitué di casa mia e, per un certo periodo, passò più tempo al telefono con mia sorella che con me!
A Venezia, non era veramente ben visto. C'era chi lo chiamava "caveón" (capellone), chi "nocciola" per via del suo colore di pelle più scuro del tipico veneziano, e chi, addirittura, più tardi mantenne che "portava sfiga". in altre parole, predestinato al Blues. Noi Cornelius eravamo stranieri e non pratici di Venezia e spesso concludevamo in famiglia che "xe tuto San Servolo, i xe mati a Venexia". Guido era in questo panorama un matto di quelli "giusti" ed un portabandiera musicale sin dagli inizi e per molti versi un tranquillo ribelle incompreso dai più.
Per molti musicisti in Italia, la passione del Blues cominciò da semplici domande: "chi sono Eugene McDaniels, Howlin' Wolf, Willie Dixon, ecc., che appaiono come compositori di pezzi incisi dai Beatles, Stones o Animals?". Grazie a mio fratello maggiore Jesper, che mi mandava nastri dalla Danimarca (dove dischi USA si trovavano), avevo allora un piccolo vantaggio. Conoscevo dunque le versioni originali dei pezzi in seguito incisi da gruppi UK ed attingevo molta ispirazione dai nastri che Guido ed altri hanno ascoltato come sfondo sonoro a casa mia. Allora a Venezia si era una compagnia spensierata, il futuro era tutto roseo, senza limiti e nello spirito della generazione che inventò Woodstock, il Flower Power, gli hippies, e Guido ne incarnava lo spirito: ribelle ma composto, e sempre elegante. Era un calcolatore, e mai a corto di parole. Aveva sempre qualche opinione ed informazione da contribuire. Il suo campo d'azione mentale era globale, e non ristretto al campanilismo parrocchiale della Venezia di allora: pensava già in grande.
Agli inizi degli anni 70 Guido sbocciò come chitarrista. Furono in molti a Venezia, a rimanere sorpresi! Aveva imparato, ma in gran segreto. Me lo ricordo "sbregare" a tutta birra su una 330 o una Casino (non mi ricordo se era una Gibson o una Epiphone), con riffs alla "Johnny B. Goode" ed assolo a velocità che lasciava stupefatta tutta la congregazione chitarristica di Venezia. Era anche l'epoca in cui lo sport preferito dei chitarristi era battere il record delle note-per-secondo! Era una riscossa tremenda nei confronti dell'establishment musicale locale. Il Leone di Venezia era Nino Smeraldi. Come chitarrista, era in grado di mettere in soggezione chiunque. Stranamente, Nino era molto alla mano e molto positivo ed incoraggiante per quelli che potrebbero essere concorrenti al suo trono di "best guitar player in Venice". Personalmente, imparai moltissimo da lui ed anche da Giandomenico Crescentini, altro guru veneziano, e Nino incoraggiò anche Guido ad andare avanti. Nino aveva un Revox, un impianto e di che registrare jam-sessions a casa sua. Tra i nuovi astri ed assi della chitarra nella Venezia di allora vi era anche Stefano Zabeo, che mi pareva essere anni luce avanti a noialtri naïf essendo lui il più ponderato, analitico ed intellettuale. Per una città piuttosto piccola e principalmente e musicalmente conosciuta per Vivaldi o "Gondolì gondola'", la scena Blues/Rock nella Venezia di allora era interessante per vivacità e spirito di comunità e per i suoi contributi al Rock made in Italy.
In quanto a me stesso, ho disertato Venezia. Ed anche il Blues, sebbene pervade ogni nota che tuttora suono sulla chitarra. Guido, invece, è rimasto fedele al Blues sempre e comunque. Forse andrebbe celebrato più come promulgatore del Blues in Italia che per prodezze sulla chitarra, sotto questo profilo. Nel Blues, si sa, le prodezze non contano niente. è l'impegno che conta.
È per me molto interessante leggere quanto Giò ed altri hanno scritto su Guido Toffoletti. Ho seguito l'inizio ma poco il seguito, a parte alcuni albums che Guido mi mandò qui in Danimarca. Ho cercato di farli pubblicare ma la risposta era più o meno la stessa dovunque: "già il Blues USA vende poco, figurarsi un Blues con un artista di nome Guido Toffoletti, è impossibile". Ah, se solo avesse scelto un nome d'arte suggestivo, pronunciabile in Inglese e blueseggiante! Che ne so, Guy Tuff & The Blues Guides.
Lavorando per la Mega Records dal 1983 al 2002, ho cercato di scovare musica italiana che potesse avere successo in Scandinavia. Il pop, dai Righeira ai Matia Bazar a Sabrina, ha funzionato bene per la Mega Records ed Alice ed Eros Ramazzotti per i nostri concorrenti discografici, ma manca il Rock/Blues in lingua inglese. Vorrei che altri seguissero l'esempio di Guido e la sua passione quasi religiosa per la musica del suo cuore e spero che prima o poi vi siano artisti e gruppi Rock/Blues o di qualsiasi altro genere progressivo made in Italy, di risonanza mondiale. Musicisti italiani: dateci dentro di brutto ed in bocca al lupo! May the Guide be with you.

Pezzo commemorativo per Guido Toffoletti:

"Road To Fate"

I'm just ridin' on the road to fate
Hopin'. hopin' to get there late
I don't know where it's gonna be leading to
And I just might be meeting, be meeting you

Riding on the road to fate,
Riding on the road to fate.

My sight is getting real fuzzy now,
And I'm ready to express a vow
I barely can see no more
And the fog hides the shore

Coz I'm riding on the road to fate,
Riding on the road to fate.

Corrado Boscolo, musicista:

Guido era un ragazzo molto semplice,eravamo quasi coetanei...
Era il 1973 e in quell'anno allo Shaker di Sottomarina (mitico locale, famosissimo in quel tempo) andavano molto di moda alcuni animatori d.j. tra i quali un certo Fred Tay proveniente dal Ghana. Suonava bene il sax e cantava ed era stato incaricato da Gino, proprietario dello Shaker, di formare una band per la stagione estiva 1973. Cominciò quindi a cercare vari musicisti.
Tralascio il periodo delle selezioni. Io fui contattato perchè Fred mi aveva visto suonare con un gruppo locale sia l'organo che la chitarra e le percussioni: mi chiamava il jolly! In quel gruppo il bassista era un ragazzo bravissimo di Venezia, credo si chiamasse Mauro; il chitarrista era Nino Smeraldi (per il quale non servono commenti sulla bravura) che prese una stanza in affitto a casa mia con la consorte. Altro musicista, non ricordo neanche il suo nome, era un saxofonista/flautista di Milano che aveva suonato con gli Area. Altri musicisti erano due ragazzi che andavano al conservatorio di Venezia, suonavano il sax e la tromba, ed il batterista era un certo "Pastecca" che proveniva dai night francesi e mi sembra avesse sposato, o fosse fidanzato, con la figlia di Kodak (imprenditore): un mostro di bravura! Noi eravamo dunque il gruppo.
Fred affittò una casa in campagna, nel Piovese, per il mese di maggio che divenne, giorno e notte, la sede delle prove. Alcuni ci dormivano anche in questa casa che trasudava di musicisti (nel vero senso della parola...) e di musica.
Nel mese di giugno, tutte le sere per l'intera stagione, il gruppo, che si chiamava “Fred Tay and The Peace Pipe”, suonò allo SHAKER. Assieme a Nino Smeraldi conobbi anche Guido Toffoletti che ci seguiva in quelle serate, soprattutto nelle notti di quell'afosa estate. Era una persona semplice ed allo stesso tempo eccentrica, corretta, rispettosa del prossimo... divenimmo ben presto amici. Non riuscivo a capire come mai, nonostante fosse evidente che non era stato scelto come chitarrista, rimanesse nel nostro gruppo ad assistere a tutte le prove ed alle serate con tanto interesse. Molto probabilmente gli piaceva l'aria che tirava ma soprattutto osservava e imparava. Ammetto che, personalmente (lo avevo sentito qualche volta suonare la chitarra), non avevo intuito la sua bravura... ma erano gli inizi.
Toffoletti veniva da Mestre con una bellissima Mercedes: solare, elegante, generoso, con stivaletti fatti apposta per lui in coccodrillo. Si, con lui si respirava la bellezza di quei tempi. Si era innamorato della figlia del proprietario di un grand Hotel vicino alla sala dove suonavamo. Una sera mi disse: "Corrado, che ne diresti di fare cambio? io ti do la Mercedes e tu mi dai la 500 che mi consente di agire in incognito". Gli risposi affermativamente, a patto che avesse il pieno di benzina...
Purtroppo, dopo quell'estate, le nostre strade si divisero. Alla fine di una tournée in settembre con la cantante Lola Falana (Roma, Latina, Napoli, Brindisi...) non lo rividi più. Io suonai con vari gruppi ed il tempo passò. Oggi, a distanza di varie decadi, suono ancora con un gruppo live "I Ragazzi di Strada" (www.iragazzidistrada.com). Siamo tutti figli superstiti di quei tempi.

Claudio Cappelli, batterista Udine, 24.07.2008

Entrai a far parte della Blues Society di Guido Toffoletti nell’89 per sostituire Massimo Iannantuono alla batteria e lì sono rimasto per 6 bei lunghi anni sino al 1995.
Conobbi Guido a Udine da amici comuni (suo padre era nato a Tarcento e Guido aveva pure dei cugini in Friuli) ed insieme ai musicisti della Kokomo Blues Band, i fratelli Zanella, nacque l’idea di proporgli un concerto insieme, noi come gruppo di supporto, lui come guest star. Non solo Guido accettò, ma a serata terminata rifiutò ogni tipo di compenso ed anzi ci invitò a mantenere con lui i contatti. Era il 1989.
Qualche mese dopo si rifece vivo per proporci di fargli da gruppo, in pratica la sua Blues Society stava completamente cambiando pelle. Il nucleo di Udine rimase stabile almeno 3 o 4 anni (con me c’era al basso Maurizio Zanella, alla solista Roby Colella, e nell’ultimo periodo Alex De Filippis alle tastiere), io poi rimasi con Guido fino al 95. A volte come quinto elemento c’era al nostro fianco Alcide Ronzani di Vicenza, grande bella persona, bravissimo sia come chitarrista che come tastierista.
Comunque quando mancava un solista nel gruppo, Guido faceva presto a telefonare a qualcuno sul posto dove avremmo suonato per invitarlo ad unirci a noi, come ad esempio quella volta che dovendo suonare a Sanremo chiamò solo tre ore prima Bonfanti che accettò di buon grado.
Devo dire che grazie a Guido ho avuto la possibilità di trovarmi sul palco con i grandi del Blues Italiano, tuttora in attività (Bonfanti, Beccattini, Big Fat Mama, Stefano Zabeo) od un po’ dimenticati (Bonini, Joe Galullo, Gnola Blues Band, Model T boogie) o session live con Massimo Priviero, Aldo Tagliapietra delle Orme ed Elio e le S.T. od addirittura con gli stranieri (come Herbie Goins, Daryl Rice, Mike Cooper, il compianto Dick Heckstall Smith dei Colosseum, Kim Brown degli ex Cadillacs e Renegades) o di trovarmi a condividere lo studio d’incisione per le registrazioni dei suoi dischi con Fabio Treves, Zoot Money ed il grande James Cotton.
Storiche le sue prese di distanza da altri bluesmen italiani, e mai risolta la lite con il suo ex chitarrista Tolo Marton, per motivi a noi oscuri su cui non abbiamo mai voluto indagare.
Guido era un relation man incredibile, i suoi contatti e le sue favoleggiate amicizie con Keith Richards, Ron Wood, Mick Taylor, James Cotton sono testimoniate dalle incisioni e dalle foto inserite nei vari booklets. Per mantenere relazioni di tale livello Guido aveva una comunicativa eccezionale ed era un gran parlatore, sapendo tenere alto il discorso per ore. Ricordo ancora le lunghe telefonate che faceva aggiornandoci su aneddoti, serate da fare, rapporti con altri musicisti, storie di vita, le donne, gli amici veneziani, i colleghi bluesmen italiani.
Ricordo anche le lunghissime chiacchierate in auto durante gli spostamenti, anzi devo dire che erano dei monologhi che duravano ore, se suonavamo a Napoli era capace di iniziare un unico discorso a Mestre e terminarlo a Roma per un veloce rifornimento in autogrill, e non potevi distrarti mentre parlava, né leggerti il giornale, ti guardava con occhi attenti per vedere se lo avevi ascoltato anche dopo sei ore di conversazione.
Una notte partendo da Cuneo verso Venezia iniziò a parlare di una donna (argomento classico durante i viaggi) con il tastierista davanti. Io dietro mi appisolai, ma al risveglio a Padova stavano ancora discutendo della stessa persona!
Aneddoti ce ne sarebbero tanti: le tresche amorose nostre e sue, le avventure in autogrill, auto in panne o senza carburante nel mezzo dell’Italia, i furti di strumenti a Napoli, gli assegni scoperti pagati dagli organizzatori di alcuni concerti in Sicilia, le risate con Herbie Goins che parlava (e parla) con un accento indecifrabilmente italo/anglo/romanesco.
Dietro la persona navigata, professionale e sempre entusiasta che era Guido ho intuito con sempre maggiore consapevolezza una solitudine sempre più marcata (specialmente dopo la morte della madre) dettata anche dalla mancanza di una donna stabile al suo fianco. La sua famiglia erano diventati gli amici, i colleghi, i giornalisti.
Il modo in cui la sua vita terminò, guidando, (lui veneziano fra i canali della laguna non ne aveva mai avuto bisogno) per la prima volta una bicicletta in mezzo alla tangenziale di Chioggia nel buio della notte e venendo investito da un’auto a forte velocità, ci ha lasciato attoniti e disorientati.
Paradossalmente possedeva una Rolls Royce Silver Cloud ed una Mercedes anni 50, mai si sarebbe servito di una bici.
Al funerale vidi molte persone, qualcuno l’ho citato prima, molti giornalisti, ma se ricordo bene nessun grande bluesman italiano. Invece al contrario i Rolling Stones da Londra inviarono una corona di fiori a forma di chitarra, la sua amica Patty Pravo non fece in tempo ad esserci poiché l’autopsia ritardò di qualche giorno la data del funerale. Pure Renzo Arbore si fece sentire con un telegramma. Ora riposa per sempre a Venezia in buona compagnia, a qualche metro da lui ci sta Igor Stravinskij, chissà se discuteranno di musica moderna o sinfonica.
Se vuoi avere un vero aneddoto finale, per ricordarne il buon nome e l’alta professionalità del musicista Guido Toffoletti, dirò che Keith Richards voleva comporre e registrare alcune cose con lui, ma a causa degli impegni del primo il progetto veniva sempre rimandato, non era una cosa buttata lì, l’idea era proprio di Keith, e Guido naturalmente attendeva di poterlo concretizzare. E, pensando alle malelingue ed alle invidie ci ripeteva sempre un motto che gli aveva suggerito proprio Keith Richards: ALLA FACCIA DI CHI CI VUOL MALE!
Guido ha dato al Blues in Italia molto più di ciò che il Blues abbia dato a lui, era molto invidiato per le sue relazioni di alto livello di cui sopra (i Rolling per esempio…), era screditato per la sua perizia vocale o chitarristica, ma devo dire che pur non inseguendo fraseggi alla Steve ray Vaughan Guido Toffoletti il Blues lo suonava alla maniera giusta, cosa non proprio facile da trovare, ed infatti gli stranieri se ne accorgevano e lo apprezzavano. Come radici musicali lui proveniva dal Rock’n’roll (amava a dismisura Elvis ed i primi Beatles, di cui era un collezionista), dal beat degli anni 60 (aveva fatto il ragazzo di fatica scaricando gli ampli per i Renegades di Kim Brown) e dal Blues inglese (in un pub di Londra da adolescente aveva conosciuto il papà di tutti i bluesmen o rockers inglesi, Alexis Corner, di cui era diventato una sorta di pupillo).
Quindi a quegli anni ed a tali stili era legato, poco gli importava del Blues più moderno e contaminato.
Comunque molti addetti ai lavori lo snobbavano a distanza, al suo cospetto invece venivano conquistati dalla sua simpatia ed umanità e lo rispettavano, ho assistito a numerosi ripensamenti e cambi di atteggiamento, non faccio nomi è meglio.
Ricordo dopo molti anni con calore, stima e simpatia Stefano Zabeo, suo grande compagno d’avventure musicali prima e dopo di me, Massimo Bonfanti, molto umile e tranquillo, Umberto Tonello, infaticabile promoter piemontese, persona più che degna di rispetto, oltre naturalmente i miei colleghi friulani e veneti come il citato Alcide Ronzani, ricordo con molto meno trasporto tanti altri che salivano sul carrozzone della Blues Society per convenienza, utilità o vantaggi personali, sfruttando l’immagine e la figura di Guido, che, è bene dirlo, era sempre pronto a darti fiducia.


MAXWELL STREET è il titolo di un CD live del 2003 registrato in occasione della manifestazione “Imola in Musica”. La tiratura è limitata a 250 copie e senza scopo di lucro. I 15 brani contenuti sono dedicati a Guido Toffoletti. Gli artisti che vi hanno partecipato sono tutti italiani ed eseguono un repertorio di brani tradizionali americani ed inediti con l’intenzione di tracciare un preciso percorso culturale che porterà alla nascita dello Spaghetti blues.
All’interno della copertina vi è un'introduzione di Valter Galavotti (Assessore alla Cultura del Comune di Imola) che presenta scrivendo: “… se tra la via Emilia est e piazza dei Servi (un’area urbana valorizzata da recenti lavori di riqualificazione) è stato possibile far rivivere Maxwell Street, simbolo del Blues a Chicago e nel mondo, e se tanti appassionati cultori del Blues coi capelli brizzolati si sono mescolati a giovani adepti e ad altri curiosi esploratori, dobbiamo essere grati a quel gruppo storico di imolesi che per tutti gli anni ottanta organizzarono memorabili concerti e promossero un’intelligente opera di sensibilizzazione che rese Imola un punto di riferimento nazionale… “.
Il primo brano è una particolare traduzione in italiano di “The Road is a Killer” di Toffoletti e la eseguono Simone Felici e Mr. Williamson Combo; a seguire i Chicago Blues Revue, Personal Manager, Andrea Coco, Ivan Ghibli Cardelli, Francesca De Fazi Acustic Band, Sticky Fingers, Rollin’n Tublin, Blues Bar(K), Backdoor Baby, Honey Dripper Blues Band, John Strada, Franco “Easy” Nasi, Blue Bound Express, Joe “King” Galullo.
Per ascoltare i brani: www.boozepeople.it.

 

Discografia:

BORN IN LONDON - autoprodotto, LP 1976
SHOUT YOUR NAME / GOT MY MOJO WORKIN - Sonobeat, 45 giri 1977
STRAIGHT AHEAD -  Sonobeat, LP aprile 1978
MIDNIGHT GUITAR TALKS... - Red Records, 1979
MY BABY / LOOKIN' FOR GOOD TIME - Sonobeat, 45 giri 1980
GUIDO TOFFOLETTI WITH HERBIE GOINS - Large World, LP 1980
THE BIRTHDAY ALBUM - Young Records, 2LP 1982
LITTLE BY LITTLE... BIT BY BIT - Young Records, LP 1983
GUIDO TOFFOLETTI & BLUES SOCIETY - NO COMPROMISE - Appaloosa, LP 1985
WAIS BACK - Appaloosa, LP 1988
EARLY TIMES - Red Records, LP 1990
KEEP IT SIMPLE - Great Dane Records, LP 1991
THE BLUES BOX - special ediction, 3LP
THE WAY IT WAS - antologia 1978/1992 Great Dane Records, CD 1993
THE BLUES CONNECTION - Vita Viva Productions, CD 1996
HALF & HALF - Vita Viva Productions, CD 1996
HALF & HALF - Vita Viva Productions volume 2, CD 1997
HALF & HALF - Vita Viva Productions volume 3, CD 1998

 

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