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Paul Jones, la genesi del British Blues  intervista di Gianni Franchi, introduzione di Michele Lotta

Volge al termine la rassegna "L'Asino in Blues" fortemente voluta ed organizzata da Gianni Franchi (Jona's Blues Band) in memoria dell'amico Herbie Goins, il cantante americano che ha vissuto per lunghi anni in Italia, ha collaborato sia con la Jona's che con altri musicisti nostrani, divenendo, di fatto, uno di noi (ha anche sposato l'italianissima Celestina Morando, sua affezionata compagna fino alla fine). Abbiamo già sottolineato in altre occasioni l'incidenza che Goins ha avuto sul British Blues nei dorati anni sessanta come cantante dei famosi Blues Incorporated di Alexis Korner guadagnandosi diverse volte la Top Ten britannica. 

Per chiudere la rassegna col botto, arriva da Londra a rendere il suo omaggio a Herbie, Paul Jones, altro grande protagonista del Blues inglese. Jones fu cantante dei Manfred Mann ed in quel periodo così vivace, suonò un po' con tutti. Si ricorda in particolare la sua amicizia con Brian Jones alla quale fa anche riferimento nell'intervista. E proprio Brian e Keith Richards gli proposero di mettere su una band... lui rifiutò per continuare con i Manfred con i quali registrò diversi hit come la famosa "Mighty Queen". Lasciò il gruppo nel 1966 provando la carriera da solista con lo LP "MY Way"; il disco però non ebbe il successo sperato e Jones cambiò mestiere. Dopo gli anni settanta ha condiviso l'attività di musicista a quella di attore e di conduttore televisivo e radiofonico (una sua trasmissione alla BBC va con regolarità "On Air").

Jones è attualmente il presidente della National Armonica League ed è stato premiato "armonicista dell'anno" nel blues britannico Awards del 2010, 2011 e 2012, nonché Blues Broadcaster dell'anno. Ha ricevuto un premio alla carriera nel 2011. Nello stesso anno, la Federazione Blues of America gli ha conferito il Blues Alive Award.

Nel 1979 mette su la Blues Band assieme al cantante/chitarrista slide Dave Kelly (che aveva già suonato con Howlin' Wolf e John Lee Hooker). La prima line-up della band comprendeva anche il bassista Gary Fletcher, il chitarrista Tom McGuinness (anchegli ex Manfred Mann) ed il batterista Hughie Flint. Con la Blues Band è tutt'ora "on the road" ed ha all'attivo oltre venti dischi (tra registrazioni in studio e album live).

Certamente da ricordare la sua prima esperienza italiana con il compianto Guido Toffoletti, in quello che possimo definire come il battesimo del Blues internazionale nel nostro Paese.

Venerdì 13 maggio sarà quindi a Roma, presso L'Asino che Vola, ed avremo l'occasione di vederlo dal vivo nella sua unica data italiana con il suo personale tributo a Herbie Goins accompagnato dalla Jonas Blues Band. Per arrivare "preparati", vi consiglio di leggere l'intervista che ci ha concesso in esclusiva.



Brian Jones, Tom Jones, Paul Jones


Manfred Mann



Herbie Goins e Paul Jones
         

Blues Band

intervista

SB: Le prime notizie che ho trovato riguardo la tua carriera ti vedono come giovane armonicista girare per i blues club di Londra in compagnia di Brian Jones. Puoi raccontarci qualcosa di quel periodo?

PJ: A quei tempi ero più un cantante che un armonicista, lavoravo con una band che faceva musica da ballo. Avevo comprato una armonica dopo aver ascoltato Junior Wells su un brano di T-Bone Walker - ma non riuscivo nemmeno ad avvicinarmi al suono che aveva Junior. Brian mi ha mostrato come suonare in "cross-harp" o, come si dice oggi, in seconda posizione.                    

SB: Come ti sei appassionato alla musica blues? Chi erano i tuoi armonicisti preferiti?

PJ: Mi ero appassionato al jazz da quando avevo 14 anni ma dopo aver ascoltato il disco di Lonnie Donegan ‘Rock Island Line’, velocemente ho iniziato ad immergermi nel blues – più lo sentivo, più lo amavo.  Una volta assorbito quello che Brian mi aveva insegnato, ho ascoltato tutti gli armonicisti blues, e l’armonicista di Muddy Waters all'epoca, James Cotton, divenne il mio preferito. Ma più lo studiavo, più amavo il blues e seguivo il grande Little Walter con Sonny Boy Williamson II subito dopo.                      

SB: Nel 1962 sei diventato il cantante armonicista dei Manfred Mann, una fantastica band che mischiava blues, R & B con brani jazz strumentali. Cosa puoi raccontarci su quella esperienza e come mai ad un certo punto hai deciso di abbandonare la band?

PJ: Nessuno mi chiede mai per prima cosa perché sono entrato in questo gruppo -  solo perché lo ho lasciato. In realtà la risposta sarebbe la stessa: perché dovevo seguire una nuova fase della mia carriera. A dire il vero, ero stufo di essere chiamato 'Manfred' - ed anche perché, anche se cercavo di avere il controllo del repertorio fin dall'inizio, in quel momento cominciava ad allontanarsi dai miei gusti, e non avevo voglia di fare cose come 'Fox On The Run'.

SB: Secondo te, perché nella Inghilterra di quegli anni c'erano così tanti talenti, tanta creatività ed una scena musicale che più avanti avrebbe dato vita a così tante famose rock band?

PJ: Perché noi tutti ascoltavamo attentamente e più spesso e a lungo possibile la musica americana - che gli stessi americani avevano smesso di ascoltare, e persino dimenticato. Recentemente Lonnie Mack è morto; pochi americani lo conoscono bene, al contrario di quello che ha fatto certamente Stevie Ray Vaughan. Mack, direttamente o indirettamente, ha influenzato Clapton, Page, Beck, e la maggior parte dei chitarristi che sono venuti dopo di loro.

SB: Il tuo primo album solista "My Way"(1966) è un disco pop senza armonica e brani blues. Fu una scelta della tua casa discografica?

PJ: Quando ho lasciato i Manfred, credevo che avrei potuto avere un maggior controllo su quello che facevo. Non era solo la casa discografica, all'epoca con la ripartenza della mia carriera, avevo un manager, un agente, un produttore discografico, uno per le public relations, un direttore ed arrangiatore musicale - a tutte queste persone si deve quello che è successo!

SB: Negli stessi anni hai registrato alcuni brani con Clapton, Winwood e Jack Bruce per la Elektra. Una formazione , The Powerhouse, che poi si sviluppò in varie e famose rock bands (CREAM, Blind Faith). Perché questo gruppo non continuò invece?

PJ: Avevo messo su questo gruppo su richiesta della Elektra records, che voleva introdursi nel mercato britannico con un album che stavano facendo dal titolo ‘What’s Shakin’?
Fu l' Elektra che diede al gruppo il nome Powerhouse (o anche Eric Clapton’s Powerhouse). Ma all'epoca, i Cream stavano già provando segretamente  (ed io avrei voluto Ginger Baker alla batteria , ma lui non volle essere della partita ) e credo che fu Eric a suggerire di avere nel progetto anche Steve. Forse aveva già l'idea dei Blind Faith in qualche angolo della sua mente.

SB: Negli anni 70 hai lavorato principalmente come attore, fino al 1979 quando hai fondato, con altri veterani del British blues, The Blues Band. Come mai avete pensato di formare una band che suonava blues negli anni del punk e new wave ?

PJ: Non era cosi strano. Già c'erano altre bands che suonavano blues – o una specie di punk-blues, che derivava a grandi linee dall'esempio dei Doctor Feelgood. È perché molti di loro erano di base nella contea dell' Essex: The Kursaal Flyers, Eddie and The Hot-Rods, Lew Lewis, etc. Anche the Pirates ed i Nine Below Zero suonavano punky blues nei pubs.

SB: Come hai conosciuto Herbie Goins e cosa ricordi di lui?

PJ: Ho incontrato Herbie perché era il cantante di Alexis Korner’s Blues Incorporated, e Alexis era il centro del mondo blues in UK. Lui era ‘the real thing’ essendo sia Americano che nero , e mi sembrava avere la giusta mistura di raffinatezza ed essenza allo stesso tempo del blues downhome (‘Downhome-ness’) il che era veramente speciale.

SB: In Italia hai collaborato con Guido Toffoletti, come siete entrati in contatto e cosa ricordi di questa esperienza? Conosci altri musicisti blues italiani?

PJ: Guido in realtà si è messo in contatto con me, ma non ricordo i dettagli – era molti anni fa! Mi ricordo in particolare che fu Guido a chiamarmi da Venezia per dirmi che Alexis era morto – a Londra, dove anche io mi trovavo, ma nessuno qui a Londra mi aveva avvertito.
Mi ricordo alcuni dei musicisti della band di Guido e del disco che abbiamo fatto insieme, ma il ricordo più significativo è quello di Herbie.               

SB: Il tuo ultimo album "Suddenly I like it"  (2015) un ottimo lavoro con brani originali e blues covers, hai come ospite  Joe Bonamassa alla chitarra in una canzone. Cosa pensi di lui ed in generale sui più giovani musicisti blues odierni?

PJ: Joe è un fantastico musicista, un artista molto attento ed appassionato ed è un delizioso amico. .Si merita tutto il suo successo. Molti dei musicisti più giovani stanno imparando da lui e tutti potremmo imparare qualcosa da lui.  Non c'è sempre da imparare qualcosa?

SB: E riguardo la scena blues inglese di oggi?

PJ: Non ho molto da dire su quello che accade oggi in UK. Molti giovani talenti stanno comparendo sulla scena blues continuamente, e molti dei - come dire? - più maturi continuano a suonare regolarmente ed avere una vita soddisfacente. Se devo fare una critica, sarebbe ora che i media conoscessero  la storia del Blues ad un livello superiore.

SB: Hai organizzato dei concerti di beneficenza al Cranleigh Arts Center dove hai avuto degli ospiti come Van Morrison, Paul Weller, Eric Bibb. Puoi dirmi qualcosa in più su questi concerti ?  Pensi che musica e solidarietà sia un connubio che funziona?

PJ: Sono  10 anni che faccio questi concerti di beneficenza,  con la partecipazione di artisti come quelli citati ma anche Eric Clapton, Chris Barber, Imelda May, Gary Brooker, Paddy Milner, P. P. Arnold,  Bernie Marsden, Andy Fairweather Low, Shakin’ Stevens, Pee Wee Ellis, Robben Ford e molti altri,  hanno contribuito a raccogliere decine di migliaia di sterline per beneficenza. Naturalmente penso che funzioni!

SB: Muddy diceva "The blues had a baby and it named rock'n'roll", pensi che il blues avrà altri figli ?

PJ: Clarence Fountain of the Blind Boys, uno dei maestri del gospel, una volta mi ha detto  “prima di tutto c'era la gospel music, poi è arrivato il blues, e poi il jazz ”. Se questa cronologia è corretta, il blues ha avuto un altro bambino prima del rock ‘n’ roll, e lo hanno chiamato  jazz. Io non prevedo il futuro, ma sono sicuro che arriveranno altri sviluppi.

SB: Progetti futuri ?

PJ: Sono concentrato sui progetti che ho già, The Blues Band, i Manfred, il mio radio show sulla BBC Radio 2, e il mio impegno verso il Gospel (inteso probabilmente nel senso religioso del termine ndt) - che sta prendendo sempre di più del mio tempo col passare degli anni.


13/10, Una serata speciale per festeggiare le 87 primavere di mr. Harold Bradley

Harold Bradley è una delle figure storiche della musica afroamericana in Italia. Cantante, pittore, attore ed ex giocatore professionista di football americano, è ricordato anche come il fondatore del Folkstudio, lo storico locale romano che fu il primo a proporre già dagli inizi degli anni 60 musica gospel, folk, blues e jazz, e punto di incontro di tanti appassionati di musica.

Harold nasce il 13 ottobre 1929 a Chicago. Fin da giovanissimo si interessa all'arte, soprattutto musica e pittura, tanto che nel 1951 si laurea in “Belle arti” all'Università dello Iowa.
Dal 1951 al 1953 presta il servizio militare in Marina e riesce ad evitare di partire per la Corea solo grazie alla sua abilità nel football americano di cui, sulle orme del padre, diventa giocatore professionista. Con i Cleveland Browns vince due Superbowl!
Nel 1959 grazie ad una borsa di studio riesce ad approfondire la sua conoscenza nell'arte e pittura e si trasferisce in Italia, a Perugia, dove frequenta l'Università per stranieri e conosce la futura moglie Hannelore.
Notato per la sua presenza da alcuni registi, comincia a lavorare nel cinema apparendo in numerosi film e si trasferisce a Roma dove il suo studio di pittura diventa il punto di ritrovo di molti artisti stranieri e le prime performance estemporanee di musica diventano piano piano una attrazione per molti giovani italiani, tanto da diventare poi un vero e proprio club, il Folkstudio, nel quale si esibiranno, tra gli altri, personaggi come Pete Seeger, Ravi Shankar, Giovanna Marini, ed un giovanissimo Bob Dylan di passaggio nella Capitale.
Nel 1968 ritorna negli Usa dove lavora come insegnante nel campo artistico e come conduttore televisivo. Il Folkstudio lasciato nelle mani del socio Giancarlo Cesaroni diventa il locale dei cantautori con le prime esibizioni di Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Mimmo Locasciulli e molti altri.
Nel 1986 tornato in Italia per i 25 anni del Folkstudio, viene accolto così bene dai vecchi e nuovi amici che decide di rimanere nel nostro paese ed inizia ad esibirsi come cantante accompagnato da Toto Torquati o con il coro gospel dei Voices of Glory.
Dal 1987 l'incontro con la giovane band romana della Jona's Blues Band crea un connubio che durerà molti anni e porta Bradley ad esibirsi in un repertorio blues, gospel, in numerosi festival italiani e clubs capitolini oltre ad apparire in diverse trasmissioni TV.
Nel 2010 è ospite del cd “Back to life“ della stessa Jona's Blues Band con cui incide “Beale St. Blues“ e “Take This Hammer”. In questi anni continua ad esibirsi con gruppi gospel e con la sua band capitanata da Luca Casagrande. Con questa formazione realizza il suo primo cd ufficiale “Everthing's Easy”.


Mike Vernon: "Il produttore"   luglio 2016, a cura di Gianni Franchi

Non sempre i personaggi che hanno fatto la storia della musica sono in primo piano, le stars che tutti conosciamo. Spesso dietro il successo di un artista c’è il lavoro oscuro ma molto importante del produttore. Questo è l’uomo che da vita e suono ai sogni degli artisti, una figura che negli anni ’60 e nel nascente rock avrà sempre più importanza. L’uomo dietro il successo di band come i Fleetwood Mac, John Mayall ed Eric Clapton, Ten Years After, Savoy Brown, David Bowie, il creatore della etichetta Blue Horizon, il produttore di Freddie King, Otis Spann, Champion Jack Dupree è l’inglese Mike Vernon.
Nato ad Harrow nel 1944, Vernon inizia giovanissimo ad appassionarsi alla musica nera. Nel 1962 viene assunto alla Decca come assistente del direttore del reparto che si occupava di scoprire nuovi talenti. Svolgendo mille mansioni, partendo dalla gavetta comincia a farsi esperienza all’interno della etichetta. Il suo interesse per il nuovo blues inglese pero’ si scontra con le vedute molto limitate della Decca che sembrava interessata solo a musica molto più tradizionale. Nel 1966 pero’ proprio grazie alla sua insistenza riesce ad ottenere il ruolo di produttore dell’album Bluesbreakers di John Mayall (il famoso Beano album dal fumetto che legge Eric in copertina*).
Bluesbreakers With Eric Clapton nel 1966 è infatti il suo primo album come produttore ed è un enorme successo anche grazie al suono live riprodotto e voluto fortemente dal produttore e dalla band.
Proprio il successo dell’album spinge Mike nel 1968 ad allontanarsi dalla Decca e dedicarsi maggiormente alla sua etichetta Blue Horizon. Il suo lavoro successivo fu produrre il nuovo album di Peter Green che aveva appena lasciato i Bluesbreakers con la formazione che poi diverrà Fleetwood Mac.. L’album fu inizialmente proposto alla Decca che rifiuto’ e fini’ quindi prodotto dalla Blue Horizon per la CBS. questo chiaramente mise in crisi il suo rapporto con la Decca e da allora Vernon lavorò come produttore indipendente. Dopo aver prodotto due album e vari singoli di successo per i Fleetwood Mac, Vernon fu anche l’artefice dell’album “Fleetwood Mac in Chicago” dove riuni’ intorno alla band inglese molti dei maestri del blues di Chicago (Willie Dixon, Buddy Guy, Otis Spann, Walter Horton), e subito dopo produsse un nuovo album di Otis Spann.
La sua carriera continuo’ con produzioni come quella dei Savoy Brown, Chicken Shack, Freddie King, Ten Years After, gli olandesi Focus, Bo Diddley
(1995) finchè, nel 1999 all’età di 55 anni, decise di mollare tutto e trasferirsi in Spagna con la moglie.
Ma il mondo della discografia non poteva rinunciare così facilmente alla esperienza e bravura di Mike così dopo qualche anno Mike ricevette la chiamata di Thomas Ruf  della tedesca RUF RECORDS che gli chiedeva di aiutarlo nella produzione di alcuni giovani artisti come Dani Wilde e Oli Brown. Anche in questi album Vernon cerco’ di riprodurre il sound live per cui era famoso e costrinse gli artisti a suonare il più possibile insieme in diretta facendo solo dopo le sovraincisioni necessarie.
Dopo la morte della moglie, Mike Vernon riprende anche l’attività come cantante (che aveva avuto negli anni sempre meno spazio rispetto al ruolo d
i produttore) con la band Mike Vernon and the  Mighty Combo con cui gira ancora il mondo suonando in festivals e clubs.
La sua ultima produzione prevista per l’estate del 2016 è quella della promessa del blues inglese, il giovane Laurence Jones (classe 1992) per cui ha prodotto l’album “Take Me High“ con la partecipazione all’armonica di Paul Jones (Manfred Mann, the Blues Band).

 


Intervista


SB: Puoi raccontarmi qualcosa sui tuoi inizi nella musica come artista prima e poi come produttore?

MV: Ho sempre avuto un grande interesse per la musica fin da piccolo. Mio padre aveva un amico dai tempi della Guerra …l’ho sempre conosciuto come “ Uncle Charlie”…di solito la domenica andavamo con la famiglia a casa sua per  il pranzo. Mi ricordo che Charlie aveva una collezione di 78 giri e ogni tanto ne tirava fuori un paio suonandoli mentre ci rilassavamo dopo pranzo. Era una collezione molto varia ma aveva un certo numero di dischi che veramente mi intrigava… anche se ero solo un teenager all’epoca!
Louis Jordan & His Tympany Five; The Mills Brothers e The Ink Spots in particolare. 
Questi suoni Rhythm & Blues divennero una parte veramente importante nel mio viaggio musicale degli anni che seguirono.
Mia madre era una frequentatrice abituale della Chiesa e sia io che mio fratello Richard partecipavamo regolarmente. Entrambe avevamo delle voci discrete e ci unimmo al Coro della Chiesa... St. James's Church Riddlesdown, Purley nella Contea del Surrey.  Cominciai a cantare nel registro più alto ma una volta che ebbi imparato mi sentivo capace anche di cantare come contralto, tenore, baritono e se serviva anche come basso profondo… molto dipendeva dalle mie condizioni fisiche! Se avevo il raffreddore la mia voce poteva scendere in basso di un’ottava. Credo che il fatto di aver avuto il dono di una buona voce mi ha molto aiutato negli ultimi anni della mia vita. Mi piace cantare e scrivere canzoni… le due cose vanno di pari passo.
Durante i miei anni di formazione ho continuato ad approfondire tutti i tipi di musica. Mia madre era una grande fan dei Musicals... South Pacific e Carousel in particolare.  Lei era anche fan di alcuni cantanti pop uomini di quei giorni come... Dickie Valentine, Matt Monro e Frank Sinatra per esempio. Io ero come una spugna...
 assorbivo tutti gli stili di musica che andavano dal jazz (in tutte i suoi molteplici stili) e la musica classica. Ero molto eclettico come gusti musicali… ma… venuti al dunque ero un “rocker“ nel mio cuore.
Quando l’era del rock'n'roll esplose a metà anni -50s …ne ero totalmente preso.  Passavo moltissime ore la notte ad ascoltare cose tipo Little Richard, Fats Domino e Larry Williams senza realizzare all’epoca che in effetti stavo ascoltando un ibrido commercial del Rhythm & Blues.  Più tardi riscoprì Louis Jordan e questo mi indirizzò verso  Amos Milburn, Roy Brown, Wynonie Harris e tutta una serie di  cantanti e band leaders sensazionali ...troppi per ricordarli qui. Poi ho scoperto il country blues di Lightnin' Hopkins, Sonny Terry e Brownie McGhee, Son House, John Lee Hooker e questi, naturalmente , mi portarono a Muddy Waters, Little Walter, Howlin' Wolf, Bo Diddley e così via! Io e mio fratello diventammo veramente coinvolti da questo genere musicale... chiamiamolo semplicemente Blues... che abbiamo anche dato vita ad una nostra'fanzine' magazine... era il  Febbraio 1964.  La prima edizione del  R&B Monthly divenne molto popolare così continuammo questa impresa per altri due anni… l’ultima edizione vide la luce nel Febbraio 1966. La nostra successiva avventura fu la Blue Horizon Records... ne parleremo dopo!

Nel 1961  lasciai la Purley County Grammar School e mi iscrissi al  Croydon Art College.  In quel periodo ero immerso in quello che verrà chiamato poi il  British Blues Boom...seguendo ed ascoltando bands guidate da Alexis Korner e Cyril Davies.  E subito dopo The Rolling Stones e The Yardbirds...poi lo Spencer Davis Rhythm & Blues Quartet e tutta una serie di altri artisti.
ll mio unico anno all’Art College dimostro’ una sola cosa... io non avevo talento in quell campo, volevo uscirne e far parte del Music Business. Scrissi a tutte le principali etichette discografiche che esistevano in U.K. all’epoca. Non tutti risposero ma ricevetti una lettera incoraggiante dalla Decca Record Company Ltd. Avrebbero inserito i miei dati nel loro archivio e quando… e se… fosse capitato un qualche tipo di lavoro per me mi avrebbero contattato. Ed infatti qualche mese dopo ho ricevuto una lettera che mi chiedeva di presentarmi nella loro sede a Lambeth, London per un colloquio. Presentatomi regolarmente, il 12 novembre 1962 ho iniziato a lavorare come assistente del capo del dipartimento Artist & Repertoire con la principesca somma di £.8 a settimana! E' così che la mia carriera di aspirante produttore discografico è iniziata. Così come inizia la carriera di cantante… che all’epoca non ricevette molta attenzione! Con un amico misi su una band R&B... The Mojo Men... ma non fu una grande esperienza e molto presto ci sciogliemmo. Non tentai più la carriera di cantante fino al 1970 quando registrai un album solista – per la mia etichetta Blue Horizon. E' da ricordare, forse, solo perché in alcune tracce suonavano dei talenti come Paul Kossoff e Rory Gallagher.  Quattro anni dopo feci il mio secondo album per la  Sire Records di NYC.  Il disco ricevette buone recensioni  negli U.S.A. ma visto che non vendette quantità significative di copie ho messo il lavoro di cantante nel 'dimenticatoio'. Ho continuato a fare uso delle mie capacità vocali... come si poteva fare in quei giorni... facendo cori quando erano richiesti. Ho anche continuato a lavorare sulla mia carriera di song-writer... che mi ha dimostrato di essere molto divertente e molto creativa. Molte delle mie canzoni sono state registrate da artisti che producevo... Jimmy Witherspoon e Freddie King , in particolare ... e un sacco di musicisti meno conosciuti. Ma il lavoro di Produttore Discografico  era il mio obiettivo principale nella vita... ero determinato a sfruttare al meglio le opportunità che erano state offerti a me dalla Decca. Come Staff Producer alla Decca mi sono ritrovato a lavorare con tanti tipi di cose diverse. Lavoravo con Frank Lee i cui artisti principali erano  Gracie Fields, Mantovani e Vera Lynn.  Non molto rock'n'roll! Ma da qualche parte bisogna cominciare ad imparare e quello era il modo. Ho fatto un sacco di corse in giro per Mr. Lee e frequentato molte delle sue sessioni dove il mio compito era quello di tenere note su tutti i vari 'take' dei brani che erano stati incisi su nastro. Dovevo fare note molto dettagliate quando una “take” era buona e completa e ​ ​quando ci erano stati errori... buoni assoli o cattivi assoli... e così via. Tutte queste informazioni aiutavano il tecnico del suono quando era il momento di lavorara su una “take” o l’altra . Tutta roba molto terrificante quei giorni... tutto veniva fatto in una sola volta... voci e orchestra. Se qualcuno faceva un grave errore allora doveva essere fatto ancora... e ancora! Frank Lee finalmente ando’ in pensione così ho iniziato a lavorare per Hugh Mendl. Era una persona molto più aperta e mi ha dato la possibilità di mostrare cosa avrei potuto fare come produttore. Mi è stato dato il permesso di registrare artisti come Otis Spann... insieme a Muddy Waters, Ransom Knowling e Little Willie Smith. E c'era anche Curtis Jones, Champion Jack Dupree e Mae Mercer. Poi ho iniziato a lavorare a registrazione di sessioni di 'demo' con artisti del calibro di Spencer Davis (con un giovanissimo Steve Winwood); The Graham Bond Orgazination; John Lee's Groundhogs; The Artwoods, e si anche The Yardbirds. Molte di quelle registrazioni non furono accettate dalla Deccacon mio grosso dispiacere. Finalmente pero’ ebbi l’occasione di riportare John Mayall's Bluesbreakers alla Decca... dove già avevano registrato 'Mayall Plays Mayall' come registrazione una tantum. La band fu messa nuovamente sotto contratto e così fu registrato il famoso "Beano" album... ora parte della storia del  Rock'n'Roll!* Erano tempi molto eccitanti… sono ricordi ancora molto vivi nella mia memoria… anche dopo 50 anni!

SB: Sei stato uno dei primi produttori del British Blues, la tecnologia  dagli anni 60 ad oggi è cambiata molto. Dall’analogico al digitale è anche cambiato il modo di registrare la musica? Cosa ne pensi e quale modo preferisci per registare?

MV: Noi registravamo in formato analogico... era quello che ci offrivano… non sapevamo nemmeno se ci fossero modi differenti! C’erano molti limiti a quei tempi e dovevi essere molto creativo per ottenere grandi risultati. Aver avuto l’opportunità di lavorare con tecnici del suono molto creativi è stato un grande bonus… devi lavorare come squadra per ottenere I migliori risultati. Sono stato molto fortunato a lavorare con un buon numero di eccellenti tecnici negli Studi della Decca a West Hampstead, London. Ero amico di  Gus Dudgeon ed abbiamo fatto molte sessions insieme... incluso il primo material di David Bowie; John Mayall; Ten Years After; Savoy Brown... troppi da menzionare. Ma era frustrante lavorare con registratori a 4  tracce, mixare di nuovo tutto su 2 tracce per liberare altre due tracce su cui lavorare. Lavoro duro e noioso… ma era l’unico modo. Poi cominciarono ad arrivare macchine con 8 track... poi con 16 e finalmente 24 track! Si, il formato è cambiato… ma nell’essenza il modo in cui registrare no. Devi passare per gli stessi processi… per me il digitale è ottimo. Non sto inseguo il suono analogico delle valvole e certamente non quello dell’analogico su nastro! Uno spreco di tempo e denaro, per quanto mi riguarda. Naturalmente, abbiamo tutti i mezzi per rendere microfoni con suoni valvolari; compressori di qualunque cosa... non è un problema e spesso grandi risultati anche registrando in digitale! Ti da una molteplicità di ambienti e di opzioni quando mixi oppure fai sovraincisioni. Persino troppo facile!

SB: Oggi è possibile comprare la musica negli stores digitali in format mp3, puoi ascoltare tutto quello che vuoi su Spotify ed altri sistemi simili, perchè tu pensi allora che una band debba ancora produrre un cd?

MV: Principalmente per venderli ai concerti! Tu, forse potresti essere sorpreso di quanta gente oggi vuole avere una copia fisica del CD dal suo artista preferito. E solo grazie al Cd puoi farlo... Le vendite sono, in genere, abbastanza buone in questi tempi. Non sono sicuro se funziona per il mercato commerciale principale... Beyoncé et al. Ma per il mercato di musica specializzata... blues, blues/rock sono inclusi in quella categoria... non sei intelligente se non hai un CD disponibile. Ho anche notato che c'è un numero sempre crescente di appassionati che ora stanno anche comprando copie in vinile... hey hey ! Tutte grandi cose... come ancora avere il vinile in giro.

SB: Quanto è importante il ruolo del produttore per il successo di un progetto discografico?

MV: Secondo me il ruolo del produttore è uno degli ingredienti importanti per il successo di un disco. Per alcuni avere un produttore è una perdita di tempo…. forse non hanno avuto il produttore migliore, più adatto per il loro progetto? Niente da dire, ma per esperienza… e ne ho parecchia… il produttore puo’ essere un membro extra della band che puo’ vedere e sentire cose che sfuggono all’attenzione degli altri membri della band. Un Producer deve avere sempre un punta di vista obiettivo su dove il progetto sta andando e non un punto di vista soggettivo... di quello ce ne è già abbastanza da parte dei musicisti stessi. Questi hanno la tendenza a fare i preziosi sulle loro canzoni ed hanno sempre una opinione su come loro vogliono che suoni… il che potrebbe non essere la cosa migliore per il risultato finale. Avere qualcuno che guarda dall’esterno puo’ essere un grande beneficio… ma deve essere come un matrimonio! Tutti devono andare d’accordo e bisogna lavorare come una squadra… altrimenti tutto il progetto ne soffrirà in un modo o nell’altro.

SB: Tu hai lavorato con molti artisti, quale è stato quello con cui hai lavorato che ti ha dato la maggior soddisfazione?

MV: Una domanda a cui non è facile rispondere… ce ne sono stati molti per fortuna. Lavorare con Freddie King era grandioso... così professionale e sempre pronto ad ascoltare le idee che gli venivano proposte. Sono molto orgoglioso dell’album che abbiamo fatto insieme, “Burglar".
Attualmente l’artista con cui ho più soddisfazione nel lavorare è Sari Schorr. Lei è una navigata professionista... totalmente dedita al 100% al suo lavoro e sempre pronta a fare in modo che il Produttore ottenga ancora di più da lei!  Abbiamo lavorato sodo sul suo album di debutto "A Force Of Nature" che considero tra i migliori dischi all’interno dei mie favoriti TOP 5. Se riesce anche ad avere un successo commerciale potrebbe divenire il mio personale #1 tra i miei preferiti di tutti i tempi. Lo spero proprio, incrociamo le dita!

SB: Quale artista invece ti sarebbe piaciuto produrre e non ci sei riuscito?

MV: Avrei sempre volute lavorare con B.B.King ma non è mai successo.  Sono stato coinvolto nell’aiutare a mettere insieme i musicisti per l’album "In London" ma non mi è stato chiesto di produrlo... Peccato! Mi sarebbe piaciuto lavorare con Buddy Guy... e nuovamente, nessuno mi ha contattato. Ce ne sono altri... Bonnie Raitt potrebbe essere una altra. Per alcune strane ragioni mi sembra come se io volassi al di fuori del controllo radar quando cercano un produttore per alcuni progetti blues. Non è una cosa intenzionale, mi piacerebbe solo che mi contattassero più frequentemente. Ma poi io voglio produrre un album per l’artista non per altre ragioni. Laurence Jones mi ha chiesto un paio di volte di lavorare con lui... ma i tempi non erano giusti. Alla fine gli ho detto “si” l’ultima volta ed il risultato è stato molto buono... "Take Me High" è un disco molto forte.  Ma mi aspetto che alla fine qualcun altro con un profilo più alto arrivi e si offra di produrre il suo prossimo album e lo avro’ perso… niente di nuovo per me… quasi la norma. Ma sto lanciando proprio ora un avviso… NON PROVATE A RUBARMI Sari Schorr!  Lei ed io non ci pensiamo nemmeno!  Siamo come fratello e sorella e gli ci vorranno molti sforzi per rompere la nostra relazione di lavoro. Siamo una forza da non sottovalutare... e speriamo di dimostrarlo per molto tempo!

SB: In questo momento stai lavorando a nuove produzioni?

MV: Beh…. si e no. Ti ho già parlato di Laurence Jones e Sari Schorr... e per ora non ho pianificato altro se non il desiderio di fare un nuovo cd con la mia band The Mighty Combo.  Sono fiducioso che nel 2017 aumenteremo la nostra popolarità sulla scena blues e che saro’ in grado di fare un nuovo album solista con nuovo materiale originale che mostrerà , una volta per tutte, a tutti gli scettici, che io sono un cantante e che la mia intenzione di diventare un regolare performer nel circuito blues, non è un capriccio di un vecchio o un sogno. Sono veramente serio riguardo questo progetto e non lo mollero’ fino a che non avro’ ottenuto il meglio.

SB: Puoi allora dirmi qualcosa di più sulla tua band, Mike Vernon and the Mighty Combo, la lineup, il genere di musica, dove suonate e se avete registrato un album?

MV: Ora finalmente abbiamo una formazione fissa e speriamo di intraprendere a breve un nuovo breve tra Novembre e Dicembre in UK. Un altro tour in una zona più vasta di Europa… è già programmato per Marzo 2017. La nuova line-up sarà Paulo Tasker (tenor sax); Paul Garner (guitar); Matt Little (piano); Ian Jennings (upright bass) e Mike Hellier (drums).  Il nostro stile musicale è fortemente basato sulla musica degli anni 1940s e 1950s quando il Rhythm Blues era al top... pensa ad Amos Milburn, Joe Turner, Fats Domino, Little Richard, Little Willie John, Johnny 'Guitar' Watson,  Wynonie Harris e così via.  Suoniamo un certo numero di canzoni di questi artisti ma le stiamo gradualmente tagliando per far posto a nuovo materiale originale. Ho scritto canzoni per la maggior parte del tempo in cui ho lavorato… quando ho un po’ di tempo… sono certamente in grado di tirare fuori nuovo materiale originale. Questo cambiamento sembra che funzioni... due o tre delle nuove canzone hanno un grosso riscontro quando le suoniamo “live“… "Old Man Dreams", "Jump Up" e "Hate To Leave (Hate To Say Goodbye)" sono le favorite. Così con il tempo saremo pronti a registrare il nostro primo CD con 14 canzoni originali di prima qualità... attento! MIKE VERNON & THE MIGHTY COMBO... ricordati questo nome!

SB: Hai trovato differenze nel produrre artisti inglesi ed americani? Se si, quali?

MV: No, davvero… non ci sono due artisti uguali e nemmeno bands. Non fa nessuna differenza per me, Tratto tutti allo stesso modo. Sono li per fare un lavoro e ce la metto tutta per dare il meglio  e dare loro quello che vogliono.

SB: Perchè, secondo te , la generazioni di ragazzi inglesi degli anni 60 ha trovato la propria strada suonando il blues, una musica così lontana  da loro ?

MV: La ricerca di qualcosa fino ad allora sconosciuto. Il boom del  rock'n'roll  era li... già dalla metà degli anni  1950s.  Il Rhythm & Blues ha dato vita ad un ibrido stile di rock'n'roll style... Joe Turner, Little Richard and The Treniers ha aperto la strada a  Elvis Presley, Pat Boone eBill Haley... oltre a centinaia di altri!
La fraternità del British Traditional Jazz... guidato da Chris Barber e Ken Colyer...ha sostenuto il revival dell’ American Folk Music revival contribuendo a far conoscere artisti come Lonnie Johnson, Sonny Terry and Brownie McGhee e Memphis Slim.  Chris Barber in particolare aveva suonato in tour con Muddy Waters, Little Walter e Sister Rosetta Tharpe in un epoca in cui nessun altro sembrava mostrare interesse per questa musica.
Poi una o due delle major... Decca, EMI e Pye... hanno iniziato a fare compilation e singoli di alcuni dei maggiori artisti neri (ora naturalmente si chiamano Afro-Americani) per i negozi di dischi... John Lee Hooker, Bo Diddley, Chuck Berry e Fats Domino iniziarono ad entrare nelle Pop Charts! I ragazzi appassionati di musica cominciarono a scoprire tutte le forme del “blues“... la CBS/Columbia stampo’ un album di canzoni di Robert Johnson. C’era una grande esplosione di interesse per questo “nuovo” genere musicale… che effettivamente era già vecchio di almeno 30 anni.
Non solo nel Regno Unito... ma in altri paesi europei. Gli americani vennero dopo... ricordati che la questione razziale aveva radici profonde da secoli e la musica “blues” era principalmente una musica di intrattenimento per la gente nera delle campagne. La cosiddetta 'Race Music' aveva si  un suo posto... ma spesso chiuso dietro porte sbarrate. Non era così in Europa... noi abbiamo accolto con favore questa musica tradizionale e forse, ancora più importante, gli artisti che la suonavano!

SB: "Burglar" è secondo me uno dei migliori album di Freddie King, com’è stato lavorare con lui e come successo che il suo suono è diventato così “funky” in questo album?

MV: Era un sogno lavorare con Freddie King... molto professionale e sempre attento alla evoluzione del  lavoro. L’etichetta discografica... la R.S.O... con il  management team di Freddie volevano un progetto su una nuova dimensione… con più porte aperte. Lui era ormai affermato come uno dei Top artisti blues  ma volevano irrompere nel più commerciale mercato del Soul. Così insieme abbiamo pensato che era possibile combinare il suo incredibile talento come cantante e chitarrista per lasciare il segno in un nuovo e più soddisfacente mercato. Ho usato una band locale di Londra chiamata Gonzalez... ed ho cercato  nuove canzoni potenti così come ne ho commissionate alcune nuove per la session di registrazione. Ha funzionato... la canzone di Howard Tate "I'm A Burglar" ando’ molto bene; la canzone dei Gonzalez "Pack It Up" è dinamite... Freddie amava questa canzone ed mise tutto se stesso nel registrarla. Forse una delle sue migliori perfomance in studio. L’album, quando fu realizzato, ebbe recensioni molto diverse. Molti dissero che era troppo funky e poco bluesy… non ero d’accordo e non lo sono nemmeno ora. Oggi invece molte persone dicono che queste sono alcune delle migliori registrazioni di sempre e… non posso non essere d’accordo! Amo questo album e sono veramente orgoglioso di averci lavorato come produttore.

SB: Che consiglio daresti ad un giovane che volesse fare il tuo lavoro?

MV: Fare il musicista blues? Od il Producer? Comunque l’uno o l’altro le stesse regole. Devi credere al 100% nelle tue capacità di fare questo lavoro e concentrarti TOTALMENTE su quello che vuoi raggiungere. Ed avere sempre un lavoro regolare e pagato fuori dal mondo della musica perché è veramente molto difficile vivere di sola musica!

SB: Progetti futuri ? 

MV: Fare un secondo album con Sari Schorr & The Engine Room ed il mio con i The Mighty Combo. Oltre a questo non ho altri progetti… aspetterò e vedrò cos’altro mi arriverà!


* Riguardo le domande sul famoso “Beano album Blues Breakers John Mayall with Eric Clapton” e su come è stato registrato Mike Vernon ci rimanda al numero 31 di Blues Magazine dove spiega approfonditamente tutto quello che c’è da sapere.
Allo stesso modo rimanda alle esaurienti note di copertina del CD box set of THE COMPLETE BLUE HORIZON SESSIONS featuring the works of FLEETWOOD MAC” in cui ci sono tutte le sue dettagliate memorie sulle registrazioni con questa band.


 

 

 

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