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Maurizio Matt   a cura di Amedeo Zittano

Inverno 2006, litoranea di Scossicci (MC). Vento, pioggia e tuoni, sbandavano la mia auto mentre mi dirigevo in un noto locale della zona dove quella sera avrebbe suonato Joe Galullo. Mi ero appena trasferito nelle Marche e ovviamente cercavo musicisti con cui condividere la grande mia passione per il blues. La sera prima Joe mi telefonò dicendomi: “non puoi mancare, domani sera c’è Maurizio Matt, lo devi assolutamente conoscere!”.
Arrivai un po’ prima, come al solito, per scambiare quattro chiacchiere con Joe e la sua band. Il locale era già pieno ma di Maurizio non c’era ombra. Iniziata la serata, il clima si riscaldò subito e tra un blues e una ballata lo show volgeva al termine quando notai una persona con una custodia che timidamente si faceva largo tra la gente. Joe esclamò: “Ciao Maurizio!”, e lui, mentre estraeva la sua Fender consumata dalla custodia, lo guardò con un sorriso che sembrava dirgli “hai visto che c’è l’ho fatta ad arrivare?”. La serata si concluse con una jam dove suonammo tutti insieme. Maurizio lo conobbi così, con la musica prima che con le parole. Animo solare, concreto e composto, espone le proprie idee in modo lucido proprio come il suo stile chitarristico; è  proprio il caso di dire che Maurizio “parla come suona”. Da quella sera tra noi nacque una grande amicizia.
Maurizio Matteini, classe ’69, è “nipote” d’arte grazie al nonno musicista che lo ha cresciuto tra chitarre e mandolini ed al fratello chitarrista che non ha mai mancato di coinvolgerlo in ogni occasione. E’ facile immaginare il suo entusiasmo quando, ancora bambino, il professore di musica portò in classe una chitarra classica (al posto del tradizionale flauto…). Cominciò così un percorso di studio e ascolto della sei corde fino a quando, all’età di diciotto anni, entrò a far parte della sua prima band, Eclissi, che in breve tempo divenne nota a livello locale, anche grazie a due inediti che le valsero alcuni passaggi televisivi.
E così, tra concerti, intensi studi di approfondimento (compresa la partecipazione a vari seminari fra i quali da ricordare quelli con Scott Henderson e Pietro Nobile), Maurizio Matt varca le porte del XXI secolo con una grande svolta: la formazione della Daddy Blues (BB King cover band) che ha rappresentato la prima reale opportunità per il musicista di farsi ascoltare oltre la propria regione. A questo proposito, vale la pena di menzionare la partecipazione al Green Hills Blues Festival di Atri, al Rock, Wine and Blues Festival di Silvi e l’apertura del concerto di Eugenio Finardi ad Ancona.
La strada del blues è ormai segnata. Maurizio condivide il palco con artisti del calibro di Pippo Guarnera, Gigi Cifarelli, Andy J. Forest, Washboard Chaz, Joe Galullo, Rico Migliarini, solo per citarne alcuni, e partecipa come organizzatore ed artista in diverse edizioni del Second Hand Guitar.
Nel 2005, a seguito di un annuncio, inizia la collaborazione con Nello Cecchini con cui stringe un rapporto di grande amicizia e fonda un laboratorio Acustic Set aperto a tutti gli amici musicisti di blues.
Nello stesso anno finalmente forma La Maurizio Matt Blues Band proponendo brani in elettrico dei più noti padri del blues internazionale. Dopo la realizzazione di un DVD live e di un demo dal titolo “Play’n With the King”, vince le selezioni del Pistoia Blues 2006 ed approda così al più importante festival Blues italiano.
Nel 2010 scrive e poi registra il suo primo inedito, “Come Te” (canzone dedicata ad un amico prematuramente scomparso). Nello stesso anno organizza con Spaghetti la prima edizione del Crossroad Blues ad Ancona dando inizio ad un percorso divulgativo del verbo del blues grazie a svariati incontri e seminari, svolti anche presso le scuole dell’obbligo.
Nel 2013 pubblica il primo album da solista, “Big Hearted Sea”. Tre anni di lavoro racchiusi in dodici brani inediti per i quali chiede la collaborazione a diversi musicisti, tra questi il grande hammondista Pippo Guarnera. L’album esprime, in alcuni brani, intenzioni musicali non sempre legate al blues, dalle quali emerge una sorta di ricerca sonora, tra ballate country e armonizzazioni del tutto personali. Un lavoro spudoratamente sincero che mette a nudo il proprio animo fatto di ottimismo, desideri, gioie e paure, tutte emozioni esaltate da liriche in alcuni tratti davvero commoventi come in “There’s a River” dove l’autore tenta di rincuorare una madre depressa e consapevole di invecchiare. Molto bella anche l’autobiografica “She Was Red” che ricorda come, il Maurizio ragazzino, rimase folgorato da una Stratocaster rossa esposta in una vetrina. Nel CD ci sono anche brani strumentali tra cui quello che da il titolo al disco, eseguito con la slide, e “Viola’s Dream” dedicato alla figlioletta Viola.

Intervista

S&B: “È il Blues a scegliere il musicista e non viceversa”. Supponendo vera quest’idea popolare, quando e come il Blues ti ha scelto?

MM: “Probabilmente sin dal mio concepimento visto che mia madre non si stanca mai di ripetere che nel primo anno di età la mia principale occupazione era piangere a squarciagola. A quanto pare sin da neonato i “diavoli blue” si erano impadroniti di me! (ride). A parte gli scherzi ho imparato ha suonare la chitarra cercando di ripetere nota per nota i soli di David Gilmour del quale mi facevano oltremodo impazzire i suoi incredibili bending. Dal momento che il bending è la tecnica madre del fraseggio blues con il suo vagare continuo e spesso indistinto fra il modo minore e quello maggiore, oggi sono più che certo che il linguaggio blues ha catturato la mia attenzione sin dagli inizi. Una tappa fondamentale inoltre è stato l’ingresso una quindicina di anni fa nei Daddy Blues, una B.B. King tribute band, che mi ha dato l’opportunità di immergermi anima e cuore nella musica del Re. E’ stata una incredibile “palestra” e non solo a livello tecnico ma soprattutto spirituale, che si è trasformata pian piano in una convinta e rispettosa dedizione.

S&B: organizzi spesso corsi e seminari di blues prevalentemente mirati ai giovani. come reagiscono i giovanissimi? Cosa ti aspetti dal futuro?

MM: Quando posso cerco di parlare del blues ai giovani, alcuni di loro non sanno nemmeno cosa sia. Alcuni ancora oggi mi incontrano e mi dicono “ah tu sei il chitarrista, quello che suona jazz…..”. Eppure quando ho l’opportunità di farlo si accende una luce nei loro occhi che ogni volta mi stringe l’anima. Vedo in loro un incredibile interesse, soprattutto quando gli spieghi ciò che c’è dietro una frase o una melodia, la storia, la schiavitù e tutto il resto. Credo che parlando di blues si possa toccare il cuore delle persone ed è questo che più amo di questa musica. Ricordo distintamente il giorno che ho fatto un incontro all’interno di una scuola media. Quando abbiamo eseguito qualche blues, un’orda di ragazzini che in condizioni normali avrebbero fatto più confusione di una Ferrari con la marmitta sfondata in piena accelerazione, sono rimasti in religioso silenzio impietriti dalle note che uscivano dalla band. Stimolante davvero.

S&B: che idea ti sei fatto dello spaghetti blues? Credi, come me, che nel nostro Paese ci siano molte realtà che non hanno nulla da invidiare a quelle presenti oggi in America (naturalmente al netto delle poche leggende ancora in vita)? 

MM: Assolutamente! Credo fermamente che quando si parla di blues al terzo posto in una ipotetica classifica dopo gli States e l’Inghilterra ci sia proprio l’Italia, forse anche perché se pensiamo soprattutto al sud alcune esperienze socio-politiche sono in qualche modo sono raffrontabili. Suonando in giro in questi anni ho conosciuto una marea di musicisti blues incredibili, sia dal punto di vista tecnico che morale, vere e proprie “anime blues”, gente che potresti trovare a suonare in un fumoso juke joint di New Orleans e non sfigurerebbero affatto.

S&B: cosa ne pensi dell’utilizzo di strumentazione rigorosamente vintage? So che è una tua grande passione, vuoi parlarcene?

MM: Purtroppo si (ride) perché è una passione troppo costosa e non è più possibile ormai pensare di acquistare solo strumenti vintage, il mercato è impazzito e l’offerta sempre più scarsa. Ho avuto e ho tuttora chitarre e amplificatori Fender degli anni ‘60 anche se ormai mi è rimasto poco in casa. Rimango comunque convinto che i suoni degli strumenti pre anni ‘70 siano incomparabili, è un discorso complesso in cui intervengono varie componenti, materiali costruttivi non più disponibili, il grado di maturazione dei legni, le tecniche di allora…. ma, lasciamelo dire, anche gli odori e il “feel” che emanano… lo so, da questo punto di vista sono un po’ feticista.

S&B: di solito un musicista registra un disco con la propria band, tu invece hai invitato musicisti sempre diversi, come mai questa scelta?

MM: Volevo ottenere sonorità diverse da quelle a cui sono abituato e ho abituato chi mi ascolta, e poi è anche una questione di cercare nuovi stimoli e trovare strade diverse dalle solite. L’incontro con musicisti come Alessandro Sabbatini e Luigi Ridolfi mi ha sicuramente facilitato il compito. E poi c’è Pippo Guarnera…. c’è forse qualche bisogno di presentarlo?

S&B: nel tuo disco dedichi un brano a Ronnie Earl ed uno a Freddie King, cosa rappresentano queste due grandi eccellenze per te?

MM: I cd di Freddie King occupano “spesso” il cassetto del mio lettore. E’ stato un chitarrista e cantante incredibile, i suoi brani strumentali sono dei must per chiunque voglia cimentarsi con il blues. Ho scritto un brano che deve molto al suo stile e dunque è venuto naturale dedicarlo a lui. Per quanto riguarda Ronnie Earl ci sarebbe tanto da dire, lo considero un vero e proprio maestro e la sua produzione (posseggo tutta la sua ampissima discografia) è una vera e propria enciclopedia del blues. Ma a Ronnie Earl devo anche e soprattutto il suo approccio al blues dal punto di vista spirituale.

S&B: Viola’s Dream, i sogni di una bambina, ma… c’è dentro anche qualcosa che ti appartiene?

MM: Ho voluto descrivere con la musica il sogno di una bimba di 4 anni con i suoi momenti diversi, a volte gioiosi, a volte ansiosi, a volte impauriti…. Forse si, è anche il riflesso della mia vita, piena di stati d’animo diversi tra loro.

S&B: Progetti per il futuro del musicista Maurizio Matt?

MM: Per adesso vorrei dare una più ampia distribuzione al mio disco ma sto già lavorando a nuove idee e vorrei al più presto registrare un album di solo blues con i musicisti che mi accompagnano normalmente.

S&B: cosa è per te il Blues?

MM: E’ la mia vita, l’ho scoperto e me lo tengo stretto. E’ l’espressione della sofferenza e della voglia di riscatto di un popolo dunque l’espressione della vita di ogni uomo, a prescindere dal colore della pelle. E’ un linguaggio universale che supera ogni barriera della tradizione, della cultura, del territorio e del tempo. Ma soprattutto è il banchetto ideale intorno al quale sedersi e condividere i sentimenti e le esperienze con gli altri. Senza condivisione non c’è blues… forse dovremmo ricordarcelo più spesso.

www.mauriziomatt.com

 

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