Bye bye ragazzo blues  di Gianluca Diana  (Il Manifesto  16.05.2015)

Morto a 89 anni B.B. King, una vita spesa nel segno della musica. Decine di hit, 60 album in studio e uno stile capace di influenzare artisti come Eric Clapton.

Alle cronache la notizia è che Riley B. King sia nato in Mississippi il 16 settembre del 1925, ad Itta Bena. Un nome quasi esotico per una minuscola cittadina del Magnolia State. Un patronimico che sembra sia figlio della lingua degli indiani Choctaw, presenti nell’area molto tempo prima degli afroamericani. In realtà «Blues Boy», ci teneva a sottolineare di essere originario della zona confinante con l’altro sobborgo agricolo di Berclair. Sembrano quisquilie e invece evidenziano alcuni dei principali aspetti caratteriali di B.B. King: la chiarezza e la semplicità.
La necessità di rendere le cose cristalline e trasparenti, esattamente come la sua musica. Diretta, schietta e suonata brillantemente. Al punto tale da affascinare milioni di persone in tutto il mondo, fossero appassionati o semplici curiosi. Se ne andato la scorsa notte il Re del Blues, non nelle terre rurali del Delta ma nella florida e posticcia Las Vegas dove viveva da molti anni. Una carriera infinita la sua, che lo ha visto lavorare da giovanissimo nelle piantagioni di cotone prima di lasciare il segno come musicista. Certo, in famiglia il talento era ricchezza pura: suo cugino e mentore musicale fu il grande Bukka White, un altro pilastro del Blues mondiale.
Proprio quest’ultimo gli parlò della WDIA di Memphis, una radio che suonava black music. Il giovane King esordì davanti a quel microfono: voce, chitarra e un piccolo ampli, incidendo jingle pubblicitari. Quanta strada da allora. Una discografia enciclopedica che tra sessioni di registrazione in studio, dal vivo e compilazioni di diversa natura conta decine di pubblicazioni. Non tutte esaltanti, ma con alcuni episodi davvero di livello: tra questi segnaliamo i suoi primi due dischi: Singin’ The Blues del 1956 e The Blues del 1960, l’uscita del 1967 dal titolo Lucille esplicita dedica alla sua storica chitarra, «Indianola Mississippi Seeds» del 1970. Ottime incisioni si trovano anche nei dischi dal vivo (Together for the First Time Live del 1974 con Bland e Live at San Quentin del 1991), dimensione in cui il nostro trovava il miglior feeling.
Conferma ne sono sia sodalizi maggiormente consolidati nel tempo come quello con lo «screa­mer» Bobby «Blue» Bland, che temporanei con personaggi come Eric Clapton e gli U2. Tutti affascinati dall’adesione del musicista afroamericano al suo blues, alla sua cultura espressa in musica, figlia di un’epoca passata ma capace decade dopo decade di rimanere, pur se con qualche difficoltà, contemporanea.
Stessa modalità di impatto King l’ha avuta sul suo pubblico, rimasto affabulato dal solito e schematico, ma avvincente show: la band storica a introdurlo, l’ingresso del Re sul palco, una chitarra che ogni volta tirava fuori l’anima migliore di sé e commiato finale. Magari regalando prima dell’uscita i suoi plettri blu alla gente in delirio sottopalco, desiderosa di conservare quell’oggetto a metà tra il feticcio e la materializzazione concreta dell’empatia che solo lui sapeva dare. Nonostante gli acciacchi anagrafici e un diabete di lunghissimo corso, fino alla fine l’afroamericano ha continuato a fare il suo mestiere, portando ovunque il proprio blues. Molto codificato e privo di innovazioni e sorprese rilevanti, quasi un clichè derivativo delle esperienze live degli anni cinquanta e sessanta. Ma comunque capace di generare spettacolo e intrattenimento, come le regole dello showbiz radiofonico della Memphis del dopoguerra avevano insegnato a lui Johnny Ace, Bobby Bland e tutti i rappresentanti di quella stagione musicale aurea.
Prima e dopo dei concerti di King resta poi la memoria di un professionista dedito con serietà e continuità alla propria attività, al punto tale che essere parte della band è stato sempre un punto di arrivo per tanti musicisti. King ha costruito il suo profilo anche grazie a una presenza assidua e costante all’interno del movimento per i diritti civili durante gli anni sessanta: numerosi sono i racconti dell’epoca che testimoniano un impegno politico serio, fatto di mille concerti svolti a supporto della causa. Fu sostenitore delle posizioni del Dr. Martin Luther King Jr. e amico di vecchia data del militante, poi assassinato, Medgar Evers.
C’è anche un aspetto quasi filantropico che ha contribuito alla creazione del personaggio: nei momenti migliori della sua carriera non ha lesinato supporti economici a chi chiedeva aiuto. Molte di queste informazioni si trovano nella biografia, scritta a quattro mani con lo scrittore statunitense David Ritz, dal titolo Il Blues intorno a me. Un testo interessante dove senza fronzoli King mette a nudo la propria identità, sia nei momenti di forza che in quelli di debolezza. Esemplificative appaiono le sue parole, quando afferma: «Il blues è una musica semplice e io sono un uomo semplice».
Le stesse che anni fa, ascoltammo per conto del Manifesto, proprio a Indianola. In quella piccola comunità al centro del Delta del Mississippi, tanti musicisti locali, tra questi il compianto David Lee Durham, e gli abitanti del posto ci raccontarono che lui, il Re: ... di tanto in tanto riesce a tornare da queste parti. Perchè questa in fondo è casa sua. Grazie a lui molti di noi lavorano in diverse attività. Certo, non è più il ragazzo di una volta. Ma è sempre sincero con la sua gente. E' come la nostra terra. E' come quella sua canzone che fa Everyday (I Have The Blues).

 



 

 

 

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